Commedia |
cupidità Par. 15.3. |
Altre opere |
cupidità Conv. 1.11.2; cupiditade Conv. 4.12.9; cupiditate Conv. 1.11.15, 4.12.6; cupiditati Conv. 4.25.9.
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Raro
latinismo, ricorre nella
Commedia esclusivamente a
Par. 15.3, in opposizione a «l'amor che drittamente spira», dunque l'amore retto: la
cupidità è la brama smodata delle cose terrene, che si rende evidente nella volontà «iniqua», dunque nella volontà di compiere il male. Nella
Commedia è presente con maggiore frequenza
cupidigia (vd.);
cupidità è invece ben att. nel
Convivio, dove ricorre in cinque luoghi: nel primo trattato (a
Conv. 1.11.2 e
Conv. 1.11.15) si considera la «cupidità di vanagloria» come una delle «cinque abominevoli cagioni» all'origine del disprezzo del volgare; nel quarto trattato,
cupidità ricorre col signif. di 'desiderio smodato, avidità' a
Conv. 4.12.6 (in un passo tradotto dei
Paradoxa, 6, di Cicerone: «Neque enim umquam expletur, nec satiatur cupiditatis sitis») e a
Conv. 4.12.9, in relaz. al suo continuo crescere indefinitamente («la cupiditate che, raunando ricchezze, cresce»); infine, ha il signif. più generico di 'desiderio' a
Conv. 4.25.9.
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 02.09.2019.
Data ultima revisione: 25.02.2020.