Dal lat.
puteus (DELI 2 s.v.
pozzo). Eccetto l'occ. di
Conv. 1.11.10, in Dante
pozzo ricorre esclusivamente nei canti di Malebolge (soprattutto
Inf. 18 e 31-32) e indica specificamente quella cavità tonda, ampia e profonda, che si apre al centro dell'ottavo cerchio e che «tronca e raccoglie» gli
scogli delle bolge dantesche (cfr. §
1 [1], [2] e [3]; vd.
scoglio 1). Tale cavità è da considerarsi non artificiale (come l'ambiente in cui si trova) e profonda a tal punto da raggiungere il nono cerchio (il Cocito costituisce il fondo del
pozzo; vd. anche
buco) e ospitare i Giganti infernali, almeno per metà della loro altezza. Come suggerisce anche il paragone con le mura di Monteriggioni (Inf. 31.20-21) è prob. che esso non sia da immaginare come una voragine che si apre raso terra, ma «dotato di un parapetto commisurato alla sua enormità, di altezza almeno pari a quella degli scogli» (Rebuffat,
«Luogo è in inferno detto Malebolge», p. 49 nota 46; vd. anche
perizoma). Il
pozzo dantesco, in quanto 'cavità naturale', si definisce per estens. rispetto al signif. proprio di
pozzo in it. antico, cioè 'scavo verticale praticato nel terreno' (cfr.
Corpus OVI e GDLI s.v.
pozzo § 1); tuttavia si osservi anche che tale immagine e quella dei giganti relegati in profondità sotterranee sfruttano prob. reminiscenze bibliche, che già Pietro Alighieri (red. III) enumera a
Inf. 31.31 (vd. anche Falzone,
Inf. XXXI, pp. 969-970). Per es., in
Ap. 9, 1-2, l'entrata della voragine sotterranea contenente i demoni è un pozzo, il
puteus abyssi, che la tradizione assimilerà all'Inferno stesso o alla sua parte più profonda (vd. GLNT, I, coll. 27-28; TLL s.v.
puteus § II B 2 b;
abisso). Tale espressione è viva nella poesia volg. antica («poz de abisso» in
Bonvesin, Volgari,
De scriptura nigra, v. 717, p. 125; «pozo d'abisso enfernal», in
Anonimo Genovese (ed. Cocito), 127.20, p. 498) e entra anche nella rubrica a
Inf. 31 di Boccaccio («Comincia il canto trigesimoprimo dello
'Nferno. Nel quale l'autore dimostra sé esser pervenuto al pozzo dello abisso» in
Boccaccio, Rubriche, p. 262). Alla luce di ciò, non è strano che, a
Inf. 11.5,
pozzo, fra l'altro quasi omografo del precedente
puzzo, ricorra come var. di
abisso 'pozzo'; in tal caso, il vocabolo dovrà essere inteso non con il senso di 'cavità naturale', ma, in cooccorrenza con l'agg.
profondo (vd.), con il signif. fig. di 'parte più profonda dell'inferno' (per una più precisa specificazione semantica di
Inf. 11.5, vd. anche
abisso).