litterato s.m.
Nota:Dal lat.
litteratus 'uomo di lettere' (DELI 2 s.v.
lettera), a sua volta da
littera (vd.
lettera). In it. antico è att. già come sost. dagli inizi del sec. XIII (TLIO s.v.
letterato). Nel poema, il vocabolo, dalla forma latineggiante
litterati, è impiegato da Dante solo in
Inf. 15.107 per indicare 'gli uomini di cultura, i dotti' («scienziati» per
Boccaccio,
ad l.): la schiera dei sodomiti, cui appartengono, è connotata professionalmente da «
cherci e litterati grandi, cioè religiosi e intellettuali legati all'insegnamento (vv. 106-7n), indotti più facilmente di altri a pratiche omosessuali, o più probabilmente pederastiche, a causa della loro impossibilità ad accedere al matrimonio (che si riteneva fosse
remedium concupiscentiae) o alla loro promiscuità con i giovani allievi» (Bellomo, Introduzione al canto XV, p. 236). Lo stesso signif. ha l'occ. di
Fiore 92.6 («Che sed e' vien alcun gra· litterato / Che voglia discovrir il mi' peccato») e, tra le altre att.,
litterati si riferisce partic. alla conoscenza del lat. in
Conv. 1.7.12, 1.9.2 («litterati fuor di lingua italica») rispetto ai
non litterati (
Conv. 1.7.12, 1.9.5), detto di 'chi non intende né adopera il latino'. In
Vn 25.3 occorre unicamente come agg. («litterati poete»), con rif. alla lingua greca.
Varianti. La var. di Co
allecterati, se non dovuta a un banale scambio grafico tra
e («
e litterati») e
a nella scrizione prefissale
a-, ha valore agg. rif. a
cherci: la lez., altrimenti non presente in Dante, è att. dal 1309 sia come agg. sia come sost. col signif. di 'dotto, istruito' (cfr. TLIO s.v.
alletterato).
Autore: Francesca De Cianni 27.09.2018 (ultima revisione: 28.02.2022).