inluiare v.
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Commedia |
inluia Par. 9.73 (:). |
Nota:ll parasintetico dal personale
lui è
neoformazione dantesca. L'utilizzo del vocabolo è possibile esclusivamente in rif. a un terzo (diverso dal parlante e dall'interlocutore) e, in senso proprio (non att. ma ricostruito sul modello di
inmiare e
intuare [vd.]), indica l’atto di identificarsi in qno conoscendone pensieri e sentimenti come fossero i propri; nel luogo dantesco in questione il verbo, rif. a Dio e considerato nel contesto paradisiaco, assume il signif. di 'partecipare della beatitudine e dell'intelligenza divine', corrispondendo al signif. di
indiare (vd.), cui si rimanda per una nota circa la semantica e il sostrato dottrinale delle neoformazioni dantesche citate. La coppia di verbi
inluiare e
indiare, che hanno come sogg. le anime beate e gli angeli, non esprimono un'azione graduale (al contrario di
inleiare [vd.], che ha come sogg. Dante, in anima e corpo): i due verbi denotano la compenetrazione intellettuale fra l'intelligenza creatrice e la mente creata che si attua «per continuo sguardare» (
Conv. 3.13.7), cioè «sine interpolazione» (
Mon. 1.3.7).
1 Pron. [Con rif. a Dio:] assimilarsi a lui nella contemplazione, partecipando della sua beatitudine e della sua intelligenza.
[1] Par. 9.73: «Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia», / diss' io, «beato spirto, sì che nulla / voglia di sé a te puot' esser fuia.
Autore: Francesca De Blasi 27.09.2018 (ultima revisione: 30.04.2019).