imborgare v.
Nota:Prima att. Parasintetico con pref.
in-, denominale da
borgo (vd.). Prob.
conio dantesco, il verbo ritorna nei
Quatro Evangelii di Gradenigo, ma con il diverso signif. di ‘venire a stare in un luogo’ (per un caso analogo nel medesimo testo, vd.
inurbare). L’interpretazione di
s’imborga prevalente nei comm. antichi è ‘annovera, comprende quali città’ (con
in- equivalente a ‘dotarsi di’, come pure per
imprunare,
incappellare; ad es.
Francesco da Buti, che glossa coniando un sinonimo: «s’incittadineschi, cioè àe per borgi, cioè per cittadi»; analogamente Pietro Alighieri,
ad l.; e Benvenuto da Imola,
ad l.); con valore forse più dinamico in Cristoforo Landino: «si veste delle città infrascritte». L’
Ottimo (
ad l.) intende diversamente (con
in- equivalente a ‘assumere la natura di’, come per
indonnare,
indracare): «sta a modo d’un borgo», dove la precisazione del senso varia lievemente a seconda che a
borgo si attribuisca il signif. etimologico di ‘castello, fortezza’ o quello più comune di ‘centro abitato minore, incluso nell’area d’influenza di una città fortificata’ (vd. TLIO s.v.
borgo, §
1.2; cfr. ad es. Porena,
ad l.). In ogni caso le città nominate al v. 62 varrebbero - insieme ai fiumi
Tronto e
Verde del v. 63 - quali termini confinari (cfr. Inglese,
ad l.), che, come fossero mura, fanno del
corno d’Ausonia un borgo, una sola grande città fortificata (ad es. Sapegno,
ad l.: «quasi Dante dicesse: “s’incastella, ha i suoi baluardi estremi” ovvero ‘che proteggono, come le mura di una città fortificata, il
borgo, l’abitato (quel
corno d’Ausonia) che a loro si addossa’».
Autore: Paolo Rondinelli 04.02.2021 (ultima revisione: 21.03.2025).