fica s.f.
Nota:Dal lat. tardo
fīca in luogo di
fīcum con metaplasmo di genere, «sul modello del gr.
sûkon 'fico' che attraverso 'tumorello' è passato in Aristofane ad indicare la parte sessuale muliebre» (cfr. DEI s.v.
fica 1). La voce
fica è ben att. nell'it. antico (e principalmente nel tosc.) a partire dal sec. XIII, soprattutto nelle espressioni fras.
fare la fica/
fare le fiche. Vd. ad es.
Brunetto Latini, Tesoretto, v. 1719 («E chi gentil si tiene / sanza fare altro bene / se non di quella boce, / credesi far la croce, / ma e' si fa la fica») e
Fiore 176.14 («E facciagli sott'al mantel la fica»); cfr. TLIO s.v.
fica 3.1 e
Corpus OVI. Usato da Dante in senso assol., il termine indica il gesto di Vanni Fucci che, potenziato dall'imprecazione verbale «Togli, Dio, ch'a te le squadro!» (vd.
squadrare), concentra in sé tutta la blasfemia e la bestialità del personaggio. Che la voce fosse all'epoca conosciuta trova conferma nel silenzio dei più antichi commentatori. Fa eccezione
Francesco da Buti ad l., che però non sembra identificare correttamente il gesto («questa
fica è uno vituperoso atto, che si fa con le dita in dispregio e vituperio altrui, e non se ne può fare se non due da ogni mano con le dita, e però dice l'autore
con ambedue, per significare che tante ne fe, quante potè; cioè due da ogni mano»). Un importante contributo interpretativo viene dai commenti figurati del sec. XIV analizzati da Mazzucchi (
Le "fiche" di Vanni Fucci, pp. 132-136), il quale ha anche chiarito come il legame tra
fica e il gesto osceno non sia da rintracciare, come vuole la trad. avallata dalla
Crusca (cfr. Crusca (1-5) s.v.
fica), nell'esposizione (o nella raffigurazione) dell'organo sessuale femminile, per il quale la denominazione
fica si affermerà solo più tardi, bensì nell'accezione di
fica (o
fico) nel linguaggio medico e veterinario antico nel senso di 'tumore, escrescenza carnosa' «che s'osserv
a d’ordinario intorno alle aperture naturali del corpo e sugli organi della generazione dei quadrupedi domestici, e più specialmente degli asini e dei muli» (cfr. GDLI s.v.
fico). È quindi plausibile, come nota ancora Mazzucchi (
Le "fiche" di Vanni Fucci, pp. 142-144), che
fare le fiche significasse effettivamente imitare con le dita le escrescenze carnose che crescevano soprattutto sui genitali di determinati animali. Nel caso di Vanni Fucci il discorso è ancora più calzante: il ladro pist., il quale a
Inf. 24.124-125 aveva dichiarato che «Vita bestial mi piacque e non umana, / sì come a mul ch'i fui» e dunque si era paragonato a un mulo, nei vv. iniziali di
Inf. 25 alza le "escrescenze" verso Dio, sfidandolo a prendergliele e strappargliele via («"Togli, Dio, ch'a te le squadro!"»). Per tutto cfr. anche Berisso,
Gestacci e Petoletti,
«Digitum per modum ficus ostendere». Per altre ipotesi vd. Bellomo
ad l., che associa il gesto «all’augurio di ammalarsi»; e precedentemente Baldelli,
Le «fiche» di Vanni Fucci.
Autore: Francesca Spinelli 27.12.2021 (ultima revisione: 28.02.2022).