Vocabolario Dantesco

Accademia della Crusca - CNR Opera del Vocabolario Italiano

Vocabolario Dantesco

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abborrare v.
Frequenza:
Commedia 3 (2 Inf., 1 Par.).
Lista forme e index locorum:
Commedia abborra Inf. 25.144 (:); abborri Inf. 31.24 (:); aborre Par. 26.73 (:).
Corrispondenze: Testi italiani antichi:
Corpus OVI,
DiVo,
LirIO,
Prosa fior. sec. XIII,
Petrarca e Boccaccio.
Vocabolari: TLIO, Crusca in rete, ED.
Nota:Prima att. Parasintetico da borra (LEI s.v. burra, 8, 221.23, ma anche 8, 220.39; cfr. anche TLIO s.v. borra). Il verbo, considerato di prob. coniazione dantesca (ma in area romanza sono att. formazioni denominali simili: per es. prov. bourrer, cfr. FEW s.v. burra), è stato variamente interpretato e non sempre compreso. Per es. nel commentare l’occ. di Inf. 25.144, Iacopo della Lana fa derivare il verbo dalla locuz. a borra «cioè a ciabatta» seguito da Francesco da Buti «cioè acciabbatta» (forse intendendo un verbo acciabbatare e non la locuz., stando all'edizione del commento; così anche in Crusca I); quest'ultimo a Inf. 31.24 interpreta, invece, con 'errare': «cioè addivien che tu erri nello immaginare, per lo stendere la vista più che non può», come già Benvenuto da Imola, che considera i verbi forme di oberro 'io erro' («idest, si stylus oberrat»; lo stesso per Inf. 31.24 «idest, contingit, quod tu oberras»). Alla chiosa dell’Anonimo fiorentino «ciò è abborracci, non discerni chiaramente la cosa» si allineano molti dei commentatori moderni, anche sulla base del signif. del lat. burra 'lana grezza', e per estens. 'cosa grezza', da cui l'identificazione con 'abborracciare' (già dei commentatori cinquecenteschi; per altri riscontri cfr. Ragni in ED s.v. abborrare e Parodi, Lingua, p. 268). Maggiori perplessità ha destato la forma aborre di Par. 26.73 originando due filoni interpretativi. Il primo fa risalire la forma ad aborrire ‘schivare, evitare per fastidio o per ripugnanza’ e quindi 'rifuggire dal guardare' (dal lat. abhorrere, LEI, 1, 95.24 e cfr. ED s.v.), sulla scorta della chiosa di Francesco da Buti «cioè teme e non può soffrire di tenere l'occhio aperto, anco l'apre e chiude e strefinalo co la mano, infin che s'ausa a la luce». Sull’interpretazione nella lessicografia storica avrà pesato il trattamento del lemma nel Vocabolario della Crusca (che dalla I impressione tratta il contesto s.v. aborrire come sinonimo di abbominare) e in séguito il commento di Niccolò Tommaseo, che sostiene questa spiegazione. Il secondo riconduce la forma al verbo abborrare ‘intendere confusamente’, sulla scorta della glossa di Iacomo della Lana (ripresa dall’Anonimo fiorentino): «cioè non distingue od avviluppa». Per questa interpretazione Porena (Il verbo ‘abborrare’), propone di emendare congetturalmente la forma in abborra (e di intervenire conseguentemente anche sui rimanti ricorre 71 e soccorre 75). La forma abborre può spiegarsi, invece, come metaplasmo di coniugazione di abborrare, bene att. in it. antico, anche nella Commedia stessa: per es., sempre in rima, vd. abbracce di Inf. 17.93 e favelle di Inf. 32.109) (cfr. Manni, La lingua, p. 103 e n. 8). Quest'ultima ipotesi è stata sostenuta anche da alcuni commentatori moderni (in particolare Bosco Reggio e, più recentemente, Chiavacci Leonardi, Inglese) e viene qui accolta. Una ulteriore ricostruzione etimologica e semantica, alternativa alle precedenti, propone Casagrande (Parole di Dante: «abborrare», p. 185): abborrare condividerebbe l’etimo dell’agg. sostantivato burrae o dell’agg. burrus, «id est balbus», che Uguccione fa derivare da balo (Cecchini, Uguccione, B 9, 3), con rif. al campo semantico dei disturbi linguistici e quindi dell’espressione, da connettere agli effetti dello stupor. Per un raffronto con l'agg. reburrus della dittologia «yrsuta et reburra» di Dve 2.7.2 (su cui Mengaldo in ED), si veda Viel, «Quella materia ond’io son fatto scriba», pp. 176-177.

1 Mettere insieme confusamente.
[1] Inf. 25.144: Così vid' io la settima zavorra / mutare e trasmutare; e qui mi scusi / la novità se fior la penna abborra
1.1 [Con rif. a una percezione visiva:] intendere confusamente.
[1] Inf. 31.24: Ed elli a me: «Però che tu trascorri / per le tenebre troppo da la lungi, / avvien che poi nel maginare abborri
[2] Par. 26.73: E come a lume acuto si disonna / per lo spirto visivo che ricorre / a lo splendor che va di gonna in gonna, / e lo svegliato ciò che vede aborre, / sì nescïa è la sùbita vigilia / fin che la stimativa non soccorre...


Autore: Veronica Ricotta 14.06.2017 (ultima revisione: 29.04.2019).