Il verbo è soprattutto nell'
Inf., ove occorre prevalentemente nel signif. propr. di 'produrre bolle' (spec. a causa delle elevate temperature). In tal senso, in partic.,
bollire è detto della pece: quella
tenace (
Inf. 21.8) adoperata nell'arsenale veneziano e quella
spessa (21.17) che invischia i barattieri.
Bolle, ma forse non per il calore, l'acqua «buia assai più che persa» di
Inf. 7.101: in questo caso, infatti, il formarsi di bolle gassose potrà più facilmente attribuirsi ai violenti movimenti di risalita delle acque dal profondo, tipici delle sorgenti, piuttosto che a un'ebollizione da sovrannaturale surriscaldamento (com'è invece precisato per il Flegetonte: cfr.
Inf. 12.101). Gli stessi commentatori appaiono divisi; tra coloro che non si richiamano al calore è
Francesco da Buti, che pensa al 'rampollare' della fonte: «l'acqua quando rampolla, bolle e spargesi fuori» (
ad l.). Nell'unica occ. della terza cantica (
Par. 28.90),
bollire è usato nell'accezione di 'essere caldissimo, ardente', con rif. al ferro incandescente che sprigiona scintille (termine di paragone che rappresenta gli sfavillanti cerchi angelici). Per tale uso estens. del verbo – ben doc. nell'it. antico (cfr. TLIO s.v.
bollire) – vd. anche
bogliente (§ 2): a
Par. 1.60, in partic., torna la stessa immagine del «ferro che bogliente esce del foco». Con uso trans. e nell'accezione di 'far cuocere in un liquido bollente, lessare', il verbo è poi att. nel
Fiore (189.7): «Po' bullirà ramerin e viuole / E camamilla e salvia, e fie bagnata».
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 12.03.2019.
Data ultima revisione: 30.04.2019.