Inf. 32.75: oreço Laur.
Forma aferetica di
orezzo che, al pari del corrispondente femm.
orezza (vd.) att. anch'esso nella
Commedia, deriva da
orezzare, a sua volta da *
auridiare (LEI s.v. *
auridiare, 3, 2484.36).
Rezzo è att. in testi perlopiù tosc. e in un ampio ventaglio di signif. riconducibili alle accezioni di 'aria fresca' e 'brezza leggera e piacevole' (cfr. TLIO s.v.
rezzo;
Corpus OVI). Nella canzone petrosa
Così nel mio parlar voglio esser aspro,
rezzo ricorre in rima aspra con
mezzo e all'interno dell'espressione
tanto nel sol quanto nel rezzo (
Rime 1.57: «ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo / questa scherana micidiale e latra»), la quale può essere interpretata come 'sia d’estate sia d'inverno' oppure come 'sia di giorno sia di notte' (per un riepilogo delle ipotesi interpretative, cfr. Giunta e Grimaldi
ad l.). Nell'occ. di
Inf. 17.87 il vocabolo (in rima aspra con
mezzo e
riprezzo) assume il signif., già att. in testi precedenti (per cui cfr.
TLIO s.v.), di 'spazio ombroso e ventilato dove non batte il sole'; per l'espressione fras.
eterno rezzo di
Inf. 32.75 (ancora in rima aspra con
mezzo e
riprezzo), vd.
Locuz. e fras. In entrambi i passi, parte della trad. settentr. presenta l'uscita rimica in -
eggio (
meggio :
ripreggio :
reggio), con esito in affricata palatale in luogo dell'affricata alveolare, quest'ultima tipica del tosc. Vincenzio Borghini qualifica la voce
rezzo (coi signif. di 'ombra' e 'luogo in ombra') come idiotismo tosc.: «Chiamasi in Toscana, et credo per tutta,
rezzo, ove non batte sole, et
stare al rezzo, ove non sia sole. Et è questo bellissimo et efficacissimo luogo, et proprietà maraviglosa di natura, che i quartanarii, solamente a vedere il
rezzo, ricordandosi che vi si ritiravan per sentir fresco, la imaginatione sola gli fa come tremare» (Id.,
Scritti, p. 245). Dopo Dante la voce
rezzo ha goduto di una significativa fortuna lirica, che si estende alle coppie rimiche
mezzo :
rezzo e
rezzo :
mezzo o all'intera serie
mezzo :
rezzo :
riprezzo; cfr.
TLIO e GDLI s.v.
rezzo,
Corpus OVI.
Locuz. e fras. L'espressione fras.
eterno rezzo è rif. in senso estens. alla palude del Cocito, il cui ricordo causa in Dante un brivido di freddo o di orrore (il
riprezzo). Essa è stata però interpretata variamente. Ad es.,
Guglielmo Maramauro ad l. intende il sintagma come il regno infernale nella sua interezza («
eterno rezo, idest eternal pregione»), mentre Benvenuto da Imola («in isto rigore et frigore odii») e
Francesco da Buti («
tremava nell'eterno rezzo: cioè nell'eterno freddo»)
ad l. pensano al freddo perpetuo della ghiaccia di Cocito, che si carica anche, nel caso del commento dell'imolese, di una valenza metaf. (a tal proposito, cfr. anche ED s.v.
rezzo).
Varianti. La var.
oreço di Laur, att. anche nella trad. tarda (cfr. Petrocchi
ad l.), è forma non aferetica di
rezzo presente nell'it. delle Origini con gli stessi signif. (cfr. TLIO s.v.
rezzo).
Orezzo ricorre anche, all'interno della coppia rimica
orezzo :
ribrezzo di evidente ispirazione dantesca, nell’
Orlando Furioso di Ludovico Ariosto («Il merigge facea grato l’orezzo / al duro armento et al pastore ignudo, / sì che né Orlando sentia alcun ribrezzo»), per cui cfr. GDLI s.v.
ribrezzo.
Autore: Francesca Spinelli.
Data redazione: 31.03.2024.
Data ultima revisione: 30.09.2024.