Da
orecchia (vd.). Le due opzioni, in
-a e in
-o, si alternano nell'it. antico – così come nel poema – senza alcuna differenza semantica. Rispetto alla forma femm., tuttavia, quella masch. risulta predominante in doc. di area tosc. (cfr.
Corpus OVI) e conta att. più tarde: la più antica si registra nei
Trattati morali di Albertano da Brescia volgarizzati da Andrea da Grosseto, databili al 1268 («E quali nemici tu ài lasciato intrare per le finestre del tuo corpo, cioè per la bocca e per gli occhi e per li orecchi» ivi, L. 2, cap. 38, p. 130); nello stesso testo è tuttavia rilevabile anche il tipo femm.
le orecchie (sempre al plur.). La genesi dell'alternativa masch. è prob. da ricondurre all'assegnazione di un valore collettivo a
orecchia, da cui la diffusione del tipo
le orecchia (per analogia su
le dita,
le ginocchia ecc.) e la conseguente formazione di un sing. in
-o (cfr. Rohlfs, II, § 384). Una successiva tendenza normalizzante e il modello di altre coppie del lessico anat. (come
occhio / occhi) avranno determinato la formazione del corrispettivo masch. plur. in
-i:
gli orecchi. Quest'ultima è senz'altro la soluzione predominante nei testi danteschi. Infatti, se la forma femm. (impiegata anche al sing.) conta occ. limitate e per lo più vincolate a esigenze metriche (vd.
orecchia), l'alternativa masch. (sempre al plur.) risulta l'unica accolta in prosa e quella preferita in poesia. Nella
Commedia, in partic.,
orecchi ricorre anche in rima, due volte (con
becchi e
lecchi a
Inf. 17.71, con
becchi e
specchi a
Inf. 32.52). A eccezione dei casi condizionati dal metro, la forma femm. e quella masch. si alternano anche nella trad. manoscritta del poema; tende tuttavia a prediligere
orecchi il cod. Triv (cfr. Petrocchi
ad l.). A
Inf. 8.65 Inglese (ed. critica) legge
orecchi («Ma neli orecchi mi percosse un duolo» Id.,
ad l.). Per la lez.
orecchie/orecchi a
Inf. 25.126 vd. quando detto s.v.
scempio. Sul piano semantico, Dante ricorre al termine per lo più con valore propr.; in taluni casi – per es. con rif. alle orrende metamorfosi subite dai ladri nell'ottavo cerchio o alle condizioni dei traditori nel Cocito – il sost. può indicare soltanto la struttura esterna dell'organo, cioè il padiglione auricolare.
Locuz. e fras. L'espressione
aprire gli orecchi (o
le orecchie) è ben doc. nell'it. antico; prima di Dante si rileva nelle
Arringhe di Matteo dei Libri, databili alla seconda metà del sec. XIII («et convene ke voi aperiti le vostre orecle del capo e quelle del core, sì ke voi possati et intendere et consiglare e prendere quello ke sia lo meglo per voi» ivi, 22, p. 68; cfr.
Corpus OVI). Con il masch.
orecchi l'espressione ricorre soprattutto in testi fior., con testimonianze anche nelle altre due Corone (es. «E alle mie ultime parole, o giovane, apri gli orecchi» Boccaccio,
Ameto, cap. 18, p. 729; «Apra gli orecchi ogn'uomo a questo salmo / Se vuol stare in pace e non disfarse» Petrarca,
Disperse e attribuite, 181, v. 12; cfr.
Corpus OVI).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 27.02.2023.
Data ultima revisione: 03.05.2023.