Att. solo nella
Commedia e cit. nei commentatori. Dalla stessa base etimologica di
melodia (vd.), il
grecismo melode è
hapax dantesco con rari riscontri nel lat. tardo (cfr. Ter. Maur. 1439, per cui vd. DEI s.v.
meloda, Du Cange s.v.
meloda e ulteriori occ. nel corpus del TML). Sebbene i commentatori antichi e moderni, come pure l’ED, tendano ad assimilare
melode a
melodia anche dal punto di vista del signif., una sensibile divaricazione semantica fra i due lemmi pare emergere almeno in due casi: a
Par. 14.122 Dante viene rapito da una
melode «sanza intender l'inno», ovvero un canto di cui non riesce a cogliere le parole (il testo, diremmo oggi), mentre a
Par. 24.114
melode, in quanto ogg. di
cantare, pare riferirsi ancora più decisamente al prodotto della modulazione vocale. È dunque possibile che
melode in queste due occ. si riferisca piuttosto al canto nella sua integralità, di cui la
melodia è una delle componenti essenziali (insieme al ritmo e alla parola, come già insegnavano le dottrine poetiche classiche a partire da Aristotele). Tuttavia, a
Par. 28.119 viene effettivamente meno il discrimine lessicale rispetto a
melodia: l'
Osanna (il canto) è cantato con tre
melode, che
suonano in tre ordini angelici; qui
melode è dunque strumento del canto, in particolare ciò che Aristotele chiama
μέλος o, più precisamente,
ἁρμονία. Dal punto di vista prosodico, si osserva che, mentre a
Par. 14.122 il cambio di suff. in -
ode potrebbe essere giustificato da ragioni di rima, a
Par. 24.114 e 28.119 la posizione della parola all’interno del verso rende necessario l'accento di quarta su
lo (laddove a
Purg. 29.22 e
Par. 23.97 dove ricorre
melodia è richiesto l'accento di sesta su
di).
Autore: Nicolò Magnani.
Data redazione: 19.12.2023.
Data ultima revisione: 18.03.2024.