Prima att. Deverbale di
cozzare (vd.).
Cozzo, sebbene sia riconducibile più plausibilmente a un'area non tosc. per la presenza dell'affricata alveolare sorda (cfr. LEI s.v.
coc(h)lea, 15, 293.33; DEI s.v.
cozzo 1; Viel, «
Quella materia ond'io son fatto scriba», p. 235), in it. antico conta att. quasi esclusivamente fior. (cfr. TLIO s.v.
cozzo [1];
Corpus OVI). Nella
Commedia la voce ricorre per tre volte, sempre in sede rimica. A
Inf. 7.55 (in rima aspra con
sozzi e
mozzi) il vocabolo è rif. con valore meton. alla pena degli avari e dei prodighi, condannati in eterno a incontrarsi (e scontrarsi) negli stessi punti del cerchio. Nelle att. di
Inf. 9.97 (in rima aspra con
mozzo e
gozzo) e
Purg. 16.11 (in rima aspra con
sozzo e
mozzo), la voce ricorre invece nella locuz. verb.
dare di cozzo, per la quale vd.
Locuz. e fras. Le glosse di Giovanni da Serravalle a
Inf. 7.55 («
Venient ad duos cozzos: idest, ad duo puncta. Nam faciunt sic arietes, quando cum cornibus se percutiunt. Sic dicunt Florentini:
Isti arietes faciunt ad cozzos») e
Inf. 9.97 («
De cozzo: dicitur Florentie, quando arietes, vel boves, se percutiunt cum cornibus: quasi dicat: Quare vultis obstare voluntati divine, que nunquam potest fine frustrari?») documentano la fiorentinità delle espressioni fras.
ai cozzi e
di cozzo e le ricollegano al comportamento di certi animali dotati di corna, i quali sono soliti scontrarsi violentemente tra di loro con la testa. A un'analoga accezione semantica è riconducibile il verbo
cozzare (vd.).
Locuz. e fras. La locuz. verb.
dare di cozzo, forma perifrastica del verbo
cozzare (vd.), conta le sue prime occ. nella
Commedia e conosce un'ampia diffusione nei testi successivi (cfr. TLIO s.v.
cozzo [1];
Corpus OVI; GDLI s.v.
cozzo). Nel passo di
Purg. 16.11 essa ricorre nella similitudine che paragona il passo incerto di Dante, aggrappatosi a Virgilio per attraversare «l'aere amaro e sozzo» (v. 13), a quello di un cieco che si affida alla sua guida per camminare senza scontrarsi contro qsa. Nel passo di
Inf. 9.97 la locuz. ricorre invece, col senso fig. di 'andare contro, opporsi (a qsa)', nella domanda retorica «che giova ne le fata dare di cozzo?», che il messo celeste rivolge ai dannati per ricordare loro che è inutile contrastare il volere divino (vd.
fato). A tal proposito, cfr. la chiosa
Giovanni Boccaccio ad l. («Altra volta è stato detto di sopra il «fato» doversi intendere la divina disposizione, contro alla quale volere adoperare non è altro se non voler cozare col muro, ché si rompe l'uomo la testa e 'l muro non si muove»), la quale fornisce anche la prima att. della locuz. verb.
cozzare col muro ('ostinarsi a voler tentare qsa di impossibile'), destinata a godere nei secc. successivi di una fortuna ininterrotta che si protrae fino ai giorni nostri (cfr.
Crusca [4-5], GDLI e GRADIT, s.v.
cozzare; vd. anche
cozzare).
Autore: Francesca Spinelli.
Data redazione: 06.04.2024.
Data ultima revisione: 30.09.2024.