Commedia |
beffa Inf. 23.14 (:). |
Voce onomatopeica da *
beff- 'voce elementare o imitativa; gonfiamento delle labbra, gesto di dileggio' (LEI s.v. *
beff-, 5.826.16). In it. antico il vocabolo, att. a partire da Uguccione da Lodi,
Libro, assume perlopiù i signif. di 'inganno ordito ai danni di qno' (solitamente per schernirlo) e 'canzonatura, dileggio' (cfr. TLIO s.v.
beffa). Nella Commedia
beffa, in rima con due voci dal forte sapore comico-realistico quali
aggueffa e
acceffa, è rif. all'inganno ordito dal barattiere di Navarra nei confronti dei diavoli di Malebolge: essendo riuscito a svincolarsi dalla loro presa con la scusa di mostrare ai pellegrini le anime dei barattieri toscani, li ha lasciati beffati («con beffa») e senza preda da squartare («con danno»); vd. anche
danno. Oltre al massiccio impiego della voce in ambito novellistico (si ricorda, ad es., che la settima e l'ottava giornata del
Decameron di Giovanni Boccaccio sono interamente dedicate al tema della "beffa"), si segnala qui la cristallizzazione di
beffa in cooccorenza con
danno e in espressioni fras. quali
con danno e con beffa oppure
oltre al danno la beffa ('subire, oltre al danno, anche il ridicolo') che successivamente, col concorso dell'uso dantesco, conoscono una fortuna ininterrotta sino ai giorni nostri (cfr. GRADIT s.v.
beffa, che le registra come espressioni ad alta disponibilità). Per tutto cfr. anche
TLIO e GDLI s.v.
beffa.
Autore: Francesca Spinelli.
Data redazione: 30.07.2024.
Data ultima revisione: 19.12.2024.