Dal part. pass. di
spaventare (vd.), a sua volta dal lat. tardo
*expaventare (LEI s.v.
*expaventare, 22, 560.39), il vocabolo è att. in it. antico come part. pass. fin da
Restoro d'Arezzo, mentre il primo impiego come agg. risale a
Bono Giamboni, Orosio. In Dante il lemma ricorre solo nella
Commedia e il suo valore semantico è sempre legato al sentimento della paura, in linea anche con i signif. principali documentati nei testi del Due e Trecento (vd.
TLIO s.v.) e con altri lemmi appartenenti alla medesima famiglia lessicale (vd.
spaventare e
spavento). A
Inf. 24.92 l'agg. ricorre in rima e in dittol. con
nudo e descrive la condizione dei ladri nell'ottava bolgia, i quali, nudi e dunque indifesi e spaventati, tentano di fuggire dal groviglio di serpenti da cui sono avviluppati, senza però trovare scampo. Anche a
Purg. 24.135 il vocabolo compare in dittol., in tal caso con l'agg.
poltro, all'interno di una similitudine che esprime la sensazione di timore misto a sorpresa di Dante nel momento in cui, sentendo la voce dell'angelo della Temperanza, resta scosso come accade agli animali giovani che, a causa della loro inesperienza, sono facilmente impressionabili e dunque inclini alla paura (ma cfr.
poltro e la relativa
Nota). Tra gli esegeti antichi, si discosta da questa interpretazione solo l'
Anonimo fiorentino,
ad l., che glossa il dittico agg. «spaventate e poltre» con «riposate et poltrite», estendendo quindi indebitamente il signif. attribuito a
poltro anche al vocabolo precedente.
Autore: Sara Ferrilli.
Data redazione: 28.03.2024.
Data ultima revisione: 19.07.2025.