| Commedia |
3 (2 Purg., 1 Par.). |
| Commedia |
zelo Purg. 8.83 (:), 29.23 (:), Par. 22.9 (:). |
| Altre opere |
zelo Conv. 3.8.10
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Dal lat.
zelum, derivato dal
gr. zelos 'fervore'. Il sost. è att. per la prima volta nelle
Questioni filosofiche, datate 1298 e di area tosc. (vd.
Corpus OVI). Usato più volte da Dante anche nelle opere lat., il termine indica una delle sei passioni proprie dell’anima umana ricordate nel
Convivio (3.8.10) sulla scorta di Aristotele (cfr. ED s.v.
zelo). Nella
Commedia il sost., sempre in rima, ricorre tre volte. A
Par. 22.9, Beatrice, rivolgendosi maternamente a Dante stupito per il grido degli spiriti contemplanti, chiarisce che in Paradiso tutto si origina da
buon zelo, ossia dall’ardore per il bene. A
Purg. 8.83 con
zelo si indica il legittimo (
dritto) risentimento provato da Nino Visconti di fronte alle seconde nozze della moglie Beatrice d’Este, rimasta vedova; analogamente a
Purg. 29.23,
zelo si rif. al giusto (
buon) sdegno che spinge Dante a rimproverare l’ardimento di Eva che privò l’uomo delle delizie del paradiso terrestre - vd. Benvenuto da Imola, «idest, amor caritatis, non gratia detractionis, sicut communiter faciunt homines in infamiam foeminarum». Anche in queste due occ. purgatoriali si tratta, dunque, di «uno sdegno, un rifiuto appassionato di qualcosa, che sempre nasce da amore, e può essere giusto o ingiusto secondo l’oggetto dell’amore stesso» (vd. Chiavacci Leonardi,
Purg. 8.83). Nell'it. dell'uso contemporaneo il sost. è registrato come comune nell'accezione di 'impegno assiduo e diligente con cui si affrontano compiti e doveri' (vd. GRADIT s.v.
zelo).
Autore: Francesca Carnazzi.
Data redazione: 21.11.2024.
Data ultima revisione: 29.11.2025.