Commedia |
trangugia Inf. 28.27 (:). |
Da
gogio 'gozzo', con il pref.
tra-, col signif. di ‘attraverso’ (DELI 2 s.v.
trangugiare). Il verbo ricorre nella
Commedia esclusivamente nel contesto infernale che descrive la pena inflitta a Maometto, dal cui corpo squarciato pendono le
minugia (vd.), la
corata (vd.) e lo stomaco, il «tristo sacco» dove ciò che viene trangugiato si trasforma in
merda (vd.). Il verbo è glossato univocamente dai commentatori: ad es.
Francesco da Buti spiega «imperò che trangugiare è mandar giuso». Il vocabolo, nel contesto dantesco, inquadra l'azione del mangiare nella sua funzione elementare e primitiva (quasi bestiale), in sintonia con tutto il passo. Infine, la peculiarità fonetica della voce
trangugia e della rima in -
ugia (insieme a quelle in -
ozza, -
ozzo, -
ulla, -
acco, -
atta), unita alle immagini crude descritte nel canto e al lessico basso e concreto (evidente ad es. nei vocaboli
merda,
sacco,
trulla ecc), contribuisce alla lingua comico-realistica della prima cantica, che in questo canto risulta particolarmente evidente.
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 02.09.2019.
Data ultima revisione: 30.06.2020.