Dal lat. tardo
taliare 'recidere un ramo' (DELI 2 s.v.
tagliare). Il verbo è att. in volg. precocemente, a partire già dai
Proverbia que dicuntur, testo venez. della fine del sec. XII (cfr.
Corpus OVI). Nel poema ricorre per lo più in senso propr. e lo strumento da taglio per eccellenza – anche in contesto fig., come a
Par. 22.16 – è la spada (cfr. anche
Conv. 1.5.11: «una spada virtuosa, che ben taglia le dure cose»). Ha il tono sentenzioso di un'espressione proverbiale la frase pronunciata dall'avo Cacciaguida a
Par. 16.71 («e molte volte taglia / più e meglio una che le cinque spade»), relativa alle divisioni interne che indeboliscono la città di Firenze. Il verbo vale invece 'lavorare, intagliare' a
Purg. 12.97, dove allude ai «gradi» (v. 92) scavati nella roccia che consentono il passaggio dalla prima alla seconda cornice.
Tagliare è impiegato più volte nel
Detto e nel
Fiore, anche in quest'ultima accezione (es. «Ed i· mano un bordon di ladorneccio / Portava, il qual le donò ser Baratto: / Già non era di melo né di leccio; / Il suocer le l'avea tagliato e fatto»
Fiore 129.12). Infine, il verbo è att. in più luoghi dalla trad. manoscritta come var.; si segnalano, in partic., la lez. di Cha e Vat (accolta poi dall'ed. Aldina) a
Inf. 12.36, dove
tagliata (con rif. alla roccia infernale, spaccata dal grande terremoto generato al momento della morte di Cristo), può richiamare
Matth. 27, 51: «terra mota est, et petrae scissae sunt», e la lez. di Mart e Triv a
Purg. 27.65 («tagliava i raggi»), semanticamente «difendibile» ma isolata e non convincente secondo l'ed. Petrocchi (
ad l.). Saranno più prob. da escludere, invece, le var. del verbo att. a
Inf. 17.134 (
tagliata di Ham in luogo di
stagliata appare
facilior) e a
Purg. 22.48, in cui il verbo
tagliare per
togliere, trasmesso da più codd. (anche seriori), è forse suggerito dall'immagine dei «crini scemi», cioè 'mozzi', del v. 46 (cfr. ancora ed. Petrocchi,
ad l.).