Commedia |
sprazzo Purg. 23.68 (:). |
Da
sprazzare, variante apofonica di
spruzzare (da *SPRUZZ(J)AN, cfr. l'alto ted. medio
sprützen, ted.
spritzen, cfr. Castellani,
L'elemento germanico, p. 178). Il vocabolo ricorre nella
Commedia a
Purg. 23.68, a indicare il fiotto d'acqua (il «cadere a pioggia dell'acqua», chiosa Chiavacci Leonardi,
ad l.) il cui odore, insieme a quello «ch'esce del pomo», si spande accendendo nelle anime dei golosi l'incessante voglia di bere e di mangiare che li «sfoglia» (v. 58, vd.
sfogliare), cioè la pena che essi soffrono per contrappasso. Si tratta quindi del «liquor chiaro» (
Purg. 22.137), che «bagna e rende fragranti con i suoi spruzzi le foglie di uno degli alberi» (cfr. ED s.v.
gola). La rima (
sprazzo /
spazzo /
sollazzo) è unica nella cantica; è in gen. poco frequente nella
Commedia la rima aspra in
–azzo, non a caso ricorrente soprattutto nell'
Inferno (canti 21 e 22). Prima di Dante,
sprazzo è att. esclusivamente alla fine del XIII sec. in
Schiatta Pallavillani, Sonetti in tenzone con Monte Andrea, nel son.
Di credere e isperare (cfr.
Corpus TLIO) cui Monte Andrea rispose con
Ai! come, lasso, assai, dove è presente la rima
solazzo /
spazzo (cfr. anche Inglese,
ad l.). Nel Duecento è utilizzato anche il verbo
sprazzare (in
Rustico Filippi e
Palladio volg.; cfr.
Corpus TLIO).
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 02.10.2019.
Data ultima revisione: 12.06.2021.