Vocabolario Dantesco
ascella s.f.
Commedia 2 (2 Inf.).
Commedia ascelle Inf. 17.13 (:), 25.112 (:).
Prima att. Dal lat. axilla, il termine è ben att. nei doc. lat. mediev. nelle forme ascilla, ascella (cfr. per es. Isidoro, Etimol., XI.1.65: «Alae subbrachia sunt appellatae, eo quod ex eis in modum alarum motus brachiorum inchoet; quas quidam ascillas vocant [...]»; cfr. anche LEI s.v. axilla, 3, 2694.34). Nell’it. antico, invece, ascella conta occ. rare e isolate (cfr. TLIO s.v. ascella): la diffusione della parola – oggi comune (cfr. GRADIT s.v.) – sembra connessa proprio all’uso di Dante e dei commentatori. Gli interventi glossatori di questi ultimi danno prova della rarità della scelta lessicale dantesca nel panorama linguistico trecentesco: cfr. per es. Iacomo della Lana a Inf. 17.13 «L'ascelle: cioè li omeri»; Giovanni Boccaccio, ibid., «infin l'ascelle, cioè infino sotto le ditella»; Francesco da Buti a Inf. 25.112: «per l'ascelle; cioè per le ditelle». Proprio ditello (dal lat. titillus), come si evince dalla corrispondente voce del TLIO, risulta l’alternativa più familiare cui ricorrono i testi antichi – nonché taluni volgarizzamenti e repertori lat.-volg. – per indicare la medesima zona anatomica.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 21.06.2017.
Data ultima revisione: 11.05.2018.
1 [Anat.] Cavità fra la base dell'arto superiore e la parte alta e laterale del torace.
[1] Inf. 17.13: La faccia sua era faccia d'uom giusto, / tanto benigna avea di fuor la pelle, / e d'un serpente tutto l'altro fusto; / due branche avea pilose insin l'ascelle; / lo dosso e 'l petto e ambedue le coste / dipinti avea di nodi e di rotelle.
[2] Inf. 25.112: Io vidi intrar le braccia per l'ascelle, / e i due piè de la fiera, ch'eran corti, / tanto allungar quanto accorciavan quelle.