Commedia |
2 (1 Inf., 1 Purg.). |
Commedia |
scabbia Inf. 29.82 (:), Purg. 23.49. |
Dal lat. tardo
scabia (DELI 2 s.v.
scabbia). Il termine, cui in it. antico spesso si preferisce il più generico
rogna (vd.), è proprio della medicina e può designare sia un’affezione cutanea deturpante, sia la sua manifestazione. La doc. antica di
scabbia,
rogna,
tigna e
lebbra (cfr. TLIO s.v
rogna e
Corpus OVI) testimonia peraltro una significativa confusione lessicale fra malattie già sentite comunque diverse dal punto di vista fisiopatologico; a tal proposito, si veda almeno Isidoro (
Etimol. IV.8.10-11): «Scabies et lepra. Utraque passio asperitas cutis cum pruritu et squamatione, sed scabies tenuis asperitas et squamatio est». In
Inf. 29, gli alchimisti «di schianze maculati» (v. 75; vd.
schianza), sono colpiti da lebbra, detta pena «sconcia e fastidiosa» (v. 107; vd.
sconcio):
scabbia allude quindi alle croste della lebbra; d’altronde Capocchio (v. 124) è detto propr.
lebbroso (vd.). L’«asciutta scabbia» che «scolora la pelle» (
Purg. 23.49 e 50) di Forese e degli altri golosi (corrispondente alla «trista squama» di v. 39; vd.
squama), va ricondotta piuttosto ad una grave denutrizione e disidratazione, cioè il contrappasso cui sono costrette queste anime. Confortano in questo senso i commentatori: «rognaccia, che 'l digiuno e necessità caccia fuori, come appare nelli pregioni; la quale scabbia scolora la pelle» (
Ottimo); «l'abstinenzia discolora e piaga lo corpo» (
Francesco da Buti).
Autore: Francesca De Blasi.
Data redazione: 24.09.2018.
Data ultima revisione: 24.09.2018.