Formazione romanza dal
lat. mediev. rancura su
rancor, con sostituzione di suff. (Nocentini s.v.
rancura) o per incrocio con
cura (DEI s.v.
rancore). Per ess. mediolat. cfr. Du Cange s.v.
rancura. Il sost. è doc. in volg. precocemente, con att. già a partire dagli inizi del sec. XIII (
Uguccione da Lodi, Libro), e conosce una certa diffusione in area sett. e centrale (tosc. e umbr.): vd. TLIO s.v.
rancura. Il termine è ben noto alla trad. poetica tosc. e toscanizzata, dove ricorre, accompagnato da «sospiri» e «affanni», tra i versi di Federico II, di Guittone o di Guinizzelli (vd. ancora
TLIO s.v.). Non si può escludere che la penetrazione in it. di
rancura e, in partic., il suo consolidarsi attraverso la trad. lirica predantesca siano da riconoscere a un influsso dell'antico
fr. rancure, che vale 'rancore, indignazione, malcontento (verso qno)', o più prob. del
prov. rancura che, accanto a quello di 'rancore', sviluppa il signif. di 'afflizione, dispiacere' (cfr. FEW s.v.
rancor, 10, 55a), ossia il valore semantico che prevale nella doc. it. Per l'ipotesi del gallicismo, cfr. Zingarelli,
Parole e forme, p. 132; ED s.v.
rancura; ora anche Viel,
I gallicismi, p. 155. Nel poema, il sost. occorre nel paragone architettonico che accosta la posizione contratta dei superbi penitenti, schiacciati dal peso di grossi macigni, a quella delle cariatidi che talora sostengono gli elementi fondamentali di un edificio (cfr. quanto detto s.vv.
solaio,
tetto,
mensola): infatti, il realismo di tali sculture piegate e sofferenti genera spesso, in chi le ammira, «vero increscimento» (
Francesco da Buti,
ad l.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 05.10.2020.
Data ultima revisione: 02.11.2020.