Par. 21.103: preciser Laur.
Prima att.
Latinismo da
praescribere (DELI 2 s.v.
prescrivere), impiegato in ambito giuridico come «to enter (a limitation) at the head of a
formula» (OLD s.v.
praescribo), da cui, per estensione, «finibus circumscribere, limitare» (TLL s.v., 10, 2.829.63). In Dante, il verbo ricorre tre volte, esclusivamente nella terza cantica: con l'accezione di 'imporre un termine a qsa', a
Par. 24.6,
prescrivere, nella forma latineggiante
prescriba (in rima con :
ciba [2] e con :
preliba [4]), è rif. al tempo della vita terrena, cui la morte pone un termine (così
Francesco da Buti,
ad l.:
«inanti ch'elli muoia, cioè inanzi che morte li termini lo tempo del vivere: prescrivere è terminare»). Richiama tale passo, l'occ.
prescritto di
Par. 25.57 (in rima forte derivativa con :
scritto [53]), che allude alla concessione elargita a Dante di visitare il Paradiso ancora vivo, cioè 'prima che sia fissato il termine alla sua milizia terrena' («'l militar»). In
Par. 21.103 la risposta dell'anima sulla questione della predestinazione fissa un termine a Dante, ossia pone fine al suo desiderio di sapere (cfr. Inglese,
ad l.; già Daniello: «prescriver propriamente significa assegnar termine ad alcuna cosa, il quale da essa non si possa trapassare; adunque le parole dallo spirito dette al Poeta posero termine al medesimo»). Nei primi commenti si tende a interpretare il verbo come 'avere in possesso', sulla scia di Uguccione («Prescribo, ante scribere, predocere, prestruere vel aliquo spatio temporis aliquid possidendo acquifere», Cecchini,
Uguccione, S 263, 11):
Ottimo (
Par. 21.103): «prescrivere non è altro che avere prima ragione per quantità di tempo, sì come diciamo d'uno che ha tenuto una possessione a buona fede venti anni: quegli ha prescritto cotale possessione, che nulla li va opposto, o domandato niente; quasi dica: le sue parole mi soprastettero, e mi possederono»; Benvenuto da Imola: «ligaverunt ita me, et ita occupaverunt mentem meam, sicut possessor bonae fidei occupat rem alienam, et suam facit jure permittente» (vd. anche chiosa a
Par. 24.6 in
ED s.v.);
Iacomo della Lana (
Par. 24.6): «
Prescriba, çoè lo posseda, o ver abia aipú in possessione». Nei volgarizzamenti dai classici,
praescribo è tradotto per lo più con i generici
ordinare,
comandare e
dare legge (cfr.
Corpus CLaVo). Si deve prob. all'impiego dantesco l'immissione in it. di tale vocabolo (Burgassi-Guadagnini,
La tradizione delle parole, p. 178), in anticipo rispetto al successivo "alto uso" specialistico moderno (cfr. GRADIT s.v.
prescrivere).
Varianti. A
Par. 21.103 si registrano le lez.
precidere («preciser») di Laur e
spronare («spronaron») di Lo, att. anche in alcuni testimoni seriori e, nel secondo caso, nelle prime stampe (cfr. Petrocchi,
ad l.). Escludendo l'erroneo
spronaron, eco di
Purg. 4.49, il verbo
precidere (al perf.
preciser), ben doc. in volg. (cfr.
Corpus TLIO), ma altrimenti non att. in Dante, se non nell'agg. participiale
preciso (vd.), avrebbe qui il senso enfatizzato di 'troncare, interrompere violentemente o far cessare bruscamente' (GDLI s.v.
precidere, § 3) e («in quanto immagine eccessiva») è giudicato «improbabile» da Petrocchi (
ad l.).
Autore: Francesca De Cianni.
Data redazione: 26.04.2021.
Data ultima revisione: 19.12.2021.