Latinismo da
patrius agg., nella forma femm. sostant.
terra patria (DELI 2 s.v.
patrio). Il sost. è doc. in volg. sin dalla metà del sec. XIII; la prima att. risale a un testo padov. nell’espressione
celestiale patria, con signif. estens. di 'patria dei beati' (cfr. TLIO s.v.
patria). Il sost. occorre tre volte nella
Vita Nuova: in partic., Dante lo impiega precisando lo stato di chi è
pellegrino, cioè chiunque si trovi lontano dalla sua terra d’origine (
Vn. 40.6). Tra le numerose occ. del
Convivio, solo l’espressione
patria perduta assume il signif. di 'esilio' (
Conv. 3.11.16). Nella
Commedia il sost. occorre tre volte: nel primo caso, è pronunciato da Virgilio per presentarsi e rendere note le sue origini (
Inf. 1.69), secondo il procedimento di identificazione attraverso il luogo di provenienza, lo stesso adottato dalle anime che Dante incontra (cfr. Chiavacci Leonardi,
ad l.). Qui il valore di
patria è circoscritto alla «piccola patria, quella locale», rif. alla città di Mantova (cfr. Bruni,
Patria, pp. 30-35); in
Par. 21.107, il termine ricorre nel discorso di Pier Damiano, alludendo alla
patria di Dante, cioè a Firenze; e ancora a Firenze è rif. l'espressione
nobil patria in
Inf. 10.26 pronunciata da Farinata degli Uberti. Quanto all’evoluzione semantica del termine, a partire dal Settecento si assiste a un impiego in rif. all’Italia intera (cfr. Migliorini,
Storia, p. 548), caricandosi poi di valori etico-politici sul modello francese dalla metà del secolo (cfr. Folena,
Italiano in Europa, p. 22).