Dal lat.
limare (DELI 2 s.v.), il verbo ha la sua prima att. in
Gonella Antelminelli, e presenta numerose occ. nell'it. antico, con valori semantici che richiamano in senso propr. l'atto del levigare un oggetto o, per estens., del sottrarre le parti in eccesso, ma è impiegato anche in senso fig. con rif. alla revisione e rifinitura di un'opera letteraria (vd.
TLIO s.v. e
lima). Il lemma è att. già a
Conv. 4.6.15 dove l'Alighieri dichiara che Aristotele e Senocrate limarono la filosofia morale, ossia la portarono al massimo grado di perfezione; nella
Commedia esso ricorre in senso fig. solo a
Purg. 15.15, dove la forma verbale
lima è collocata a fine verso con
prima e
cima, come avviene anche a
Inf. 27.5. Qui Dante, per proteggersi gli occhi da un'intensa e inusitata luce ed attenuarne la luminosità, si fa schermo con la mano coprendosi le ciglia (vd. Benvenuto da Imola,
ad l.: «
che lima, idest diminuit»; Giovanni da Serravalle,
ad l.: «contemperat»). Per i legami del passo con la fisica aristotelica della luce cfr. Nardi,
Il canto XV del «Purgatorio», pp. 129-130. Per questo verso Petrocchi,
ad l. segnala che la caduta di
che a inizio verso, già nell'antica vulgata, ha prodotto la lez. «del soperchio del sol visibil lima», in cui
lima è inteso come sost., ma si tratta di lez. tarda che, sebbene inizialmente accolta da Ed. Crusca, è stata ritenuta erronea e abbandonata dagli edd. successivi.
Autore: Sara Ferrilli.
Data redazione: 25.11.2024.
Data ultima revisione: 23.03.2025.