Vocabolario Dantesco
latente agg.
Commedia 1 (1 Par.).
Commedia latente Par. 26.52.
Latinismo dal part. pres. di latere (DELI 2 s.v. latente). Ricorre solo nel canto 26 del Par., caratterizzato «dalla copia dei latinismi, anche al di sopra della media consueta nel Paradiso» (Mengaldo, Appunti sul canto XXVI, p. 224). Come si può verificare dal Corpus ClaVo, latere era per lo più tradotto dai volgarizzatori trecenteschi con nascondere, celare: per es., con sogg. intenzione come in Par. 26.52, Cassiano volg. (A), XIII ex. (sen.), Collat. IX: «che la 'ntentione del nostro dimandare sia celata» (lat. «lateat nostrae petitionis intentio»). Nel verso dantesco, il part. latente in funzione di agg. (‘che resta nascosto’) compare in litote (Non fu latente) per affermare che l’intenzione di San Giovanni ‘fu chiara’ (cfr. già Iacomo della Lana «el no me fo celado ch'el volea ch'eo manefestasse», Ottimo «Non fu occulta a me la intenzione di santo Giovanni», Francesco da Buti «non s'appiattò la santa intenzione»: vd. anche appiattare). Il part. lat. latens è att. (oltre che nella Questio, 34) in Mon. 1.1.5, dove si riferisce alla nozione recondita della monarchia, «notitia utilissima» e tuttavia «maxime latens et [[...]] ab omnibus intemptata». Altre occorrenze del verbo latere si trovano ancora nella Mon. (2.3.17, 7.11 e 8.4) e in Ep. 4.2.
Autore: Fiammetta Papi.
Data redazione: 11.04.2017.
Data ultima revisione: 04.05.2018.
1 Nascosto, che non si esprime all’esterno.
[1] Par. 26.52: Non fu latente la santa intenzione / de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi / dove volea menar mia professione.