Prima att.
Latinismo da
larva 'spettro, fantasma', forse di origine etrusca (DELI 2 s.v.; TLL s.v., 7.2, 977.66; cfr. anche Isidoro,
Etimol., VIII, 2, 10). Già in lat. il termine può tuttavia valere anche 'maschera teatrale' (es. «nil illi larva aut tragicis opus esse cothurnis» Or.,
Sat., I, V, 64; cfr. TLL s.v., 7.2, 978.56), accezione trasmessa successivamente all'ambito teologico mediolat. (cfr. Viel,
«Quella materia ond'io son fatto scriba», p. 283). A quest'ultimo filone semantico andrà ricondotto anche l'uso dantesco, che ricorre a
larva due volte, esclusivamente nel poema e sempre in rima (con il verbo
parve e i derivati
apparve,
disparve). In entrambi i casi il sost. indica infatti la maschera che camuffa e impedisce il riconoscimento della persona coprendone, in partic., il viso (o più in generale tutto il corpo, come intendono estens. alcuni commentatori: cfr. per es. «Si è una generatione de vestimente, le quae covreno lo vestido in tal modo che non se decerne che animal se sia»
Iacomo della Lana,
ad l.; «larva è vocabulo grammaticale, che significa vesta contrafatta, come si vestono li omini, che non vogliono essere cognosciuti»
Francesco da Buti,
ad l.). Dopo Dante e fuori del circuito esegetico del poema
larva resta un cultismo raro (vd.
TLIO s.v.); è prob. un'eco dantesca, con ripresa della rima
apparve : larve, il verso del Petrarca (cfr.
Canzoniere, 89.7, p. 122: «et poi tra via m'apparve / quel traditore in sì mentite larve / che più saggio di me inganato avrebbe»).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 25.10.2021.
Data ultima revisione: 18.12.2021.