Vocabolario Dantesco
accapricciare v.
Commedia 1 (1 Inf.).
Commedia accapriccia Inf. 22.31 (:).
Inf. 22.31: capricia Mad.
Prima att. Formazione parasintetica su capriccio (vd. TLIO s.v.). Nel poema è att. anche raccapricciare (vd.). Tutta la famiglia lessicale originatasi da capriccio, di cui danno ampia documentazione sia la tradizione del poema sia l'esegesi, non si discosta dal primitivo valore semantico di quest'ultimo, cioè 'brivido (di paura)', 'ribrezzo': vd. TLIO s.vv. capricciare e caporicciare, ricapriccio e raccapriccio. Infatti, benché il suo etimo resti discusso, capriccio sembra riconducibile a una combinazione di capo + riccio, da cui il senso di 'capelli arricciati (o, meglio, rizzati) per la paura'. Cfr. Francesco da Buti, ad l.: «capriccio significa paura, e però capricciare o vuogli raccapricciare; cioè spaurire». È invece estraneo ai documenti antichi il passaggio semantico successivo – di genesi non così perspicua (per la discussione, cfr. DELI 2 s.v. capriccio) – che porta il termine a valere 'ghiribizzo, desiderio, voglia bizzarra'. Nel poema, il verbo accapricciare traduce dunque gli effetti, di paura e repulsione, che il solo ricordo del dannato "arruncigliato" dal diavolo scatena, ancora a distanza di molto tempo, nel cuore di Dante. A differenza di raccapricciare (vd.), della forma accapricciare non si rilevano att. anteriori a quella dantesca, e le poche occ. successive sono limitate all'area tosc. o al circuito esegetico del poema. Richiama da vicino il passo infernale, in partic., l'att. del verbo nelle Metamorfosi d'Ovidio volg. da Arrigo Simintendi: «e ora ch'io me ne racordo, tutte le mie membra mi s'accapricciano...» (cfr. TLIO s.v. accapricciare), che traduce liberamente il testo lat. «quin nunc quoque frigidus artus, / dum loquor, horror habet...» (Met., IX, 289; cfr. Corpus DiVo). La documentazione disponibile e taluni commentatori consentono, inoltre, di assegnare al verbo (e a tutta la famiglia lessicale di capriccio) una marca diatopica tosc. Cfr. per es. Guido da Pisa, ad l.: «Istud vocabulum, scilicet accapriccia, est nomen Tuscum, et tantum sonat in vulgari quantum in gramatica rigeo, -es».
Varianti.  La lez. capricia, recata da Mad, è assente in Dante e scarsamente documentata nell'it. antico: nel Corpus OVI è solo all'interno della già ricordata glossa di Francesco da Buti (cfr. supra). I codd. Ham e Urb prediligono invece la forma con doppio pref., rispettivamente racapriccia e ricapriçça, come pure alcuni commentatori (cfr. per es. Benvenuto da Imola, ad l.), lez. «scrutinabile», ma più prob. eco di Inf. 14.78 (Petrocchi).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 22.05.2019.
Data ultima revisione: 17.07.2019.
1 Essere preso da un brivido di paura, inorridire.
[1] Inf. 22.31: sì stavan d'ogne parte i peccatori; / ma come s'appressava Barbariccia, / così si ritraén sotto i bollori. / I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia, / uno aspettar così, com' elli 'ncontra / ch'una rana rimane e l'altra spiccia... ||  Var.: capricia Mad.