Dal lat.
infans (DELI 2 s.v.
fante), con aferesi della preposizione
in avente valore privativo.
Fante ha come primo signif. quello di 'neonato', att. sin dal XII sec. (nel
Ritmo di Sant'Alessio), che nella
Commedia ricorre esclusivamente a
Par. 33.107 (ma alcuni commentatori attribuiscono il signif. di 'bambino' anche all'occ. di
Purg. 11.66, per cui vd.
fante (2), anch'esso connesso al verbo
fari, 'parlare'). A
Inf. 18.130
fante ha il signif. di 'giovane donna' e l'espressione «sozza e scapigliata fante», che indica Taïde, la «puttana» del v. 132, ha il signif. di 'donnaccia' (Inglese,
ad l.), 'meretrice' (Barbi,
Con Dante, p. 321). Infine, a
Inf. 21.94, «li fanti / ch'uscivan patteggiati di Caprona» sono i soldati di fanteria (signif. di
fante anch'esso att. sin dalla metà del Duecento): si tratta infatti del paragone militare, scelto da Dante per esprimere la paura provocatagli dai diavoli di Malebolge, tratto dall'esperienza dell'assedio al castello di Caprona del 1289. Complessivamente, le occ. di
fante nelle opere dantesche rientrano nell'uso del Due e Trecento: dal Duecento, il sost.
fante indica anche 'chi lavora al servizio di un altro, addetto soprattutto a mansioni minute' (vd. TLIO s.v.
fante (1)) e questo signif. ricorre ad es. in
Fiore 50.6. Nella tradizione, l'occ. di
fante di
Par. 33.107 si alterna con
infante (vd.) in Ash e Mart e nell'ed. Aldina, nella Crusca, e nelle stampe successive, sino al Foscolo, alla '37 (Petrocchi,
ad l.; cfr. anche ED s.v.
infante).
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 13.01.2021.
Data ultima revisione: 19.03.2021.