Att. solo nella
Commedia.
Latinismo da
dirumpere, composto da
rumpere con pref.
dis- (DELI 2 s.v.). Il termine ha la sua prima att. nel volg. fior. del
Trattato della dilezione di
Albertano da Brescia (1275) e poi in altri testi prima di Dante, che lo impiega un'unica volta in
Inf. 34.55, con rif. all'azione di Lucifero, descritto nell'atto di sbranare un peccatore. Secondo Franceschini,
Commenti danteschi e geografia linguistica, p. 220,
dirompere è
«termine tecnico relativo al trattamento del lino e della canapa
», e la meccanicità del gesto in Dante è sottolineata, negli stessi versi, dalla menzione della
maciulla, ovvero lo strumento impiegato per la frantumazione delle fibre tessili (vd. TLIO s.v.
maciulla e
maciullare; Manni,
Il canto di Lucifero, p. 116). Alcune occ. predantesche o contemporanee a Dante mostrano, tuttavia, anche usi meno marcati del vocabolo (vd. TLIO, s.v.
dirompere e le occ. nel
Corpus OVI). Esso talvolta risulta associato alla sfera anatomica, come avviene ad es. in
Bestiario Tesoro volg. (cap. 131:
«E entrali dentro dal corpo e esce dal'altra parte brigiando e diranpandoli lo costato
») o nei
Fatti di Cesare (Luc. L. 6, cap. 3:
«Lo spirito la dibatteva e menavala in qua et in là, e dirompevale tutte le membra dentro dal corpo
»), dove appunto
dirompere descrive l'atto di fare a pezzi delle parti del corpo, mentre altri impieghi riferiscono il verbo alla frantumazione dei capelli, con richiamo agli impieghi tecnici in campo tessile (vd.
Bind. d. Scelto, cap. 334;
Eroidi volg. (Gadd.), ep. 3 e
Ceffi, Pistole di Ovidio Nasone, ep. 5). La particolare sfumatura dantesca, che coniuga questi due aspetti, conferisce quindi a tutta l'azione un'estrema ferocia. Nella
Commedia è att. anche
dirotto.
Autore: Sara Ferrilli.
Data redazione: 22.07.2023.
Data ultima revisione: 31.07.2023.