Dal lat.
aedificium (LEI s.v., 1, 964.48). Nell'accezione più comune di 'costruzione stabile, opera edilizia', il sost. è att. in volg. già dalla metà del sec. XIII, secondo un'ampia e varia distribuzione geolinguistica (vd. TLIO s.v.
edificio). Ben rappresentati risultano anche i rif. del termine ai congegni "mobili" – dispositivi militari da offesa e da difesa, macchine agricole ecc. (vd. ancora
TLIO s.v.) –, vitali ancora nell'it. quattro-cinquecentesco (cfr. per es.
Crusca (4) s.v.; GDLI s.v.). Proprio a tale filone semantico appartengono anche le due occ. dantesche del poema, indicanti, a
Purg. 32.142, il carro simbolico della Chiesa e, a
Inf. 34.7, il «molin che 'l vento gira» (v. 6), cui è assimilata la visione, ancora non nitida, di Lucifero con le sue enormi ali. Per quest'ultima immagine in partic., che il poeta costruisce sulla recentissima innovazione tecnica dei mulini a pale alimentate dal vento, cfr. Manni,
Il canto di Lucifero, p. 116 e bibliografia ivi indicata. Per entrambi i passi l'ed. Petrocchi accoglie la forma aferetica
dificio, normale nel tosc. antico (cfr. Id,
ad l., e TLIO s.v.
edificio). Quella etimologica predomina invece nel
Conv., dove
edificio assume per lo più il valore di 'costruzione' (es. «e anco si manifesta in molti nomi antichi rimasi o per nomi o per sopranomi a lochi e antichi edificî come può bene ritrovare chi vuole» ivi, 2.4.7), anche in senso fig. (es. «Questo è lo soprano edificio del mondo, nel quale tutto lo mondo s'inchiude, e di fuori dal quale nulla è...» ivi, 2.3.11).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 30.11.2021.
Data ultima revisione: 18.12.2021.