Dal
prov. croi (vd. DEI s.v.
croio; Cella,
Gallicismi, pp. 378-379; Viel,
Gallicismi, pp. 265-266). L'agg. è att. per la prima volta nella
Frotula noiae moralis di Girardo Patecchio, del sec. XIII e di area crem., nel signif. di 'moralmente inferiore, vile, spregevole' (vd. TLIO s.v.
croio, 1). Nella
Commedia l'agg. ricorre solamente a
Inf. 30.102, nella forma femm.
croia, in rima con
Troia e
noia, nel signif. di 'gonfio' (forse già nell’
Anonimo genovese: vedi TLIO s.v.
croio, 6), con rif. al ventre (
epa) di Mastro Adamo, turgido per l’idropisia e quindi teso e duro al punto che, venendo colpito, risuona come un tamburo.
Guglielmo Maramauro, Benvenuto da Imola e
Francesco da Buti comprendono il signif. di questo vocabolo, chiosando il sintagma
epa croia rispettivamente «idest tumida», «idest, corpulentiam sive panciam turpem et inflatam» e «cioè li diede un pugno in sul ventre ch'aveva enfiato per idropisi». L'agg., nell'accezione dantesca, è scarsamente att. nella tradizione letteraria successiva a Dante (vd. GDLI s.v.
croio) e nell'it. dell'uso contemporaneo è registrato come letterario (vd. GRADIT s.v.
croio). Nella tradizione ms. di
Inf. 30.102 è att. la var.
troia in Ash: si tratta di un errore del copista prob. indotto dalla somiglianza tra i grafemi
c e
t nelle scritture librarie, cui può aggiungersi la confusione con il rimante
Troia del v. 98.
Autore: Francesca Carnazzi.
Data redazione: 21.11.2024.
Data ultima revisione: 23.03.2025.