dalfino s.m.
Nota:Deriva da
delphinus. In ital. ant. l'esito con
a protonica in luogo di
e, che si ritrova nel fr. ant.
daufin, nell'occitanico e catal. ant.
dalfì e nello spagn. ant.
dalfyn (LEI s.v.
delphinus, 19, 883.5-11), è diffuso fin dal Duecento. Nel
Corpus OVI si riscontra in testi fior. (per es. nel
Mare amoroso, XIII ui.di. o nel
Tesoro volg., XIII ex.) e non fior. (per es. in
Restoro d'Arezzo o nei
Fatti di Cesare, XIII ex., sen.), e anche fuori di Toscana: cfr. TLIO s.v.
delfino 1. Sono meno frequenti, invece, le att. di
delfino (cfr. anche Ambrosini in ED,
Appendice, s.v.
vocalismo, p. 119). Nella tradizione della
Commedia, la forma
dalfino compare in codici come Ash Cha Ga Triv Urb (vd. Petrocchi,
Introduzione, p. 430). Il sost. è att. solo in
Inf. 22.19 con rif. «alla credenza, diffusa anche in scrittori medievali [[...]] ma di ascendenza pliniana, secondo cui i delfini mostrano la loro curva schiena alla superficie del mare quando si approssima una tempesta» (Quondam in ED). Tra le fonti che attestano tale credenza, sulla quale si dilungano i commentatori, cfr. almeno Isidoro,
Etimol., XII.6.11 e B. Latini,
Tresor, I, 134, con il suo volgarizzamento: «[[i delfini]] cognoscono lo mal tempo quando dee essere, e vanno contra alla fortuna che dee essere» (
Tesoro volg., XIII ex. (fior.), L. 4, cap. 5, p. 67).
Autore: Fiammetta Papi 05.09.2018 (ultima revisione: 28.02.2019).