Commedia |
cena Par. 24.1 (:). |
Altre opere |
cena Conv. 1.1.18, 2.1.1.
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Il vocabolo, molto diffuso già in it. antico, non compare mai in Dante nel senso proprio di ‘ultimo pasto consumato prima del sonno notturno’ (TLIO s.v.
cena). L’unica occ. della
Commedia a
Par. 24.1 è metaf. e va ricondotta a un’accezione fig. e spirituale che ha vari precedenti in testi di ambito religioso a partire dal Duecento. A sostegno dell'impiego simbolico si consideri anche la chiara ascendenza evangelica sottesa (che fonde almeno i passi di
Lc. 14, 16 e
Apc. 19, 9: cfr.
ED) e la specificazione «del benedetto Agnello», che allude, a questo punto del
Par., alla beatitudine celeste a cui sono ammessi i sodali eletti. La concordia dei commentatori che, a partire da Pietro Alighieri, riconoscono il rif. specifico alla mensa di Cristo è un’ulteriore indicazione dell’impiego tradizionale del signif. traslato (e allo stesso processo di traslazione è sottoposto anche il verbo derivato
cenare [vd.] di
Par. 30.135).
Sono traslati anche gli altri lessemi legati al cibo con cui è costruita l’intera metaf. che si estende nei versi successivi: il verbo
ciba (vd.) del v. 2 e
preliba (vd.) del v. 4, il sost.
mensa (vd.) del v. 5, a cui si affiancano anche vocaboli legati al campo semantico del 'bere' (
bevete [vd.], v. 8;
fonte [vd.], v. 9), ancora di derivazione biblica (cfr.
Apc. 7, 15-17). Il vocabolo occorre sempre come traslato anche nelle due att. del
Conv., in questo caso con rif. alla simbologia che sta alla base dell'opera stessa e del suo titolo (per questi valori simbolici e per ulteriori approfondimenti sulla parola e i contesti d’impiego cfr. Valerio,
Dante «a la gran cena»).
Autore: Veronica Ricotta.
Data redazione: 01.02.2019.
Data ultima revisione: 30.06.2020.