Latinismo da
supinus (DELI 2 s.v.
supino)
, l'agg. è att. in volg. a partire dal sec. XIII ex. (cfr. TLIO s.v.
supino)
. Nell'
Inf. compare tre volte, sempre a inizio di verso, con rif. a una persona, e ha il signif. di 'disteso', 'appoggiato sulla schiena' (ma a
Inf. 14.22 ha più propr. valore avv. e vale 'in posizione supina', cioè 'con il viso e il petto verso l'alto'). In due luoghi il termine appare legato al tema della superbia, che è centrale nel canto dedicato agli eretici (vd. locuz. e fras. per l'espressione
ricadere supino di
Inf. 10.72), ma che ritorna anche nella raffigurazione dei bestemmiatori di
Inf. 14.22, in cui l'agg. è rif. ai dannati, sdraiati al suolo per contrappasso poiché, mentre «in vita osarono scagliarsi contro il cielo, ora sono costretti all'immobilità sempre guardando il cielo, scontando con l'attuale impotenza il loro ardimento temerario» (Fosca,
ad l.). A
Purg. 14.9, invece, l'agg. è usato con rif. a una parte del corpo, in partic. al vólto di due spiriti, 'rivolto verso l’alto' nel parlare. Qui
supini è in rima con
chini (
vd.), agg. al quale si contrappone nella descrizione degli invidiosi: questi, avendo le palpebre cucite, assumono le movenze dei ciechi e da un lato si piegano sorreggendosi a vicenda, dall'altro sollevano in alto il viso, sulla scorta dell'immagine di
Inf. 13.102 («lo mento a guisa d’orbo in sù levava»).
Locuz. e fras. L'espressione
ricadere supino di
Inf. 10.72, per descrivere la caduta all'indietro di Cavalcante, è stata messa in relazione con il tema della superbia, con richiamo biblico all'episodio della morte di Eli (cfr.
Guido da Pisa,
ad l.: «Cadere enim in faciem est humiliari, [[...]]. Retrorsum vero cadere est peccare et penam eternam incurrere, sicut typice legitur de Ely sacerdote [[...]]. Et bene dicuntur damnati retrorsum cadere, quia in illas penas cadunt a quibus in presenti faciem averterunt»). Prima di Dante essa ricorre, legata viceversa all'ideale di umiltà in opp. alla superbia, in
Paolino Minorita («De questa vertude [[
scil. humiltade]] ven laudado Tiberio imperador, [[...]], in tanto ke aldando un [dì] dir meravejose couse de si, el se trase endredo de tal vertude ch'el chaçè sovin»; cap. 20, pag. 23.16).
Autore: Irene Angelini.
Data redazione: 03.10.2023.
Data ultima revisione: 20.12.2023.