Il vocabolo continua evidentemente il lat.
femina ed è att. solo nelle prime due cantiche. A partire da
Inf. 4.30 si individuano i due tratti semantici propri della parola, l'uno legato al genere l’altro all'età, sulla base dell’opp. da un lato con
viri (vd.
viro), 'maschi adulti', e dall'altro con
infanti (vd.
infante), 'prepuberi di ambo i sessi'. Il valore semantico è quindi oggettivo e neutrale, non prevedendo in partic. la polarizzazione neg. insita nel tradizionale confronto con
donna (vd.), che, ancora in anni vicini alla
Commedia, si riscontra ad es. in Francesco da Barberino, il quale nella glossa ai
Documenta Amoris pone la seguente equazione: «Ubi [scil. Amor] loquitur de femina mala dicit femina, ubi autem de bona dicit domina» (cfr.
Egidi, II, p. 139). Tanto che per Dante l’opp. più significativa, almeno all’altezza del
De Vulgari Eloquentia, pare quella inerente allo stile, posto che ivi
femina è parola estranea al volgare illustre, cui appartiene invece a tutto diritto
donna. Non è un caso se nelle
Rime Dante non usa
femmina ma sempre
donna. Nell’unico luogo in cui Dante ricorra esplicitamente alla detta opp.
femmina/
donna (
Vn 19.1) la pur blanda accezione neg. riguarda non il solo sost. ma l'intera locuz. «pure femmine», cioè le donne prive tanto delle comuni virtù, proprie di «ogni donna», quanto delle superiori proprie delle «donne... che sono gentili». Tale opp. terminologica appare superata, o comunque assente, tanto nel
Convivio (cfr. a
Conv. 2.5 «femmina veramente» detto della Vergine), che nella
Commedia, dove la parola riscontra un senso parimenti neutrale. In partic., tralasciando i casi autoevidenti, a
Inf. 18.89 il signif. non prevede che un richiamo oggettivo al genere e al ruolo familiare delle «femmine» di Lemno, le quali uccisero i loro parenti maschi («li maschi loro»: padri mariti e figli), mentre il giudizio morale è affidato agli aggettivi «ardite» e «spietate». Così, l'impudicizia delle femmine barbagine di
Purg. 23.95, in quanto collocata in un ordine naturale e semibarbarico, tanto più inchioda alle loro colpe le «donne» fiorentine, come bene esprime
Francesco da Buti: «E perché [scil. in Barbagia] vanno quasi nudi li omini e le femine, e però dice che a rispetto de le donne fiorentine ella è più pudica e onesta». Una qualche sfumatura negativa, certo, almeno dalla specola della modernità e con immotivato anacronismo, si potrebbe cogliere in
Purg. 8.77, dove l’incostanza amorosa attribuita alle «femmine» è subordinata alla maggiore soggiacenza ai sensi di queste rispetto ai maschi. Ma, per converso, sfumatura pos. non potrà che avere con rif. a Gentucca (
Purg. 24.37), dove si dovrà casomai mettere in rilievo come il termine, pur rivolgendosi a una giovinetta impubere («che non porta ancor benda»), rimandi per profezia all'età che costei avrebbe avuta al momento dell'incontro con Dante. Per le dette ragioni, e in assenza di controprova esplicita, il vocabolo avrà valore oggettivo anche con rif. alla «femmina balba», la cui mostruosità fisica e morale si evince casomai dalla descrizione (
Purg. 19.7). E a maggior ragione per le «femmine da conio», la cui connotazione spregiativa (divenuta corrente nell'uso moderno dell'espressione come frase fatta) non sta nel termine ma nell'intera locuz., e solo a patto che si dia a conio il signif. di 'prezzo' e non di 'inganno' (su questo aspetto vd.
conio e rel.
Nota). Caso particolare si ha poi a
Purg. 29.96, in un passo la cui esegesi è divisa proprio rispetto all'interpretazione della parola
femmina, a seconda che se ne dia una valutazione neutrale o, ed è l'opzione prevalente, moralisticamente improntata. La seconda, a partire da Iacomo della Lana, ritiene siano tre le aggravanti del peccato di Eva: oltre all'essere «pur testé formata», il suo essere «femmina», e quindi di per sé inferiore e pavida (Lana, An. Lomb., Chiose Vernon ecc.), e l'essere sola, quindi sottratta al cattivo influsso di qualsiasi altra donna. La prima invece, a partire dall'Ottimo, riduce a due le ragioni, facendo di «femmina sola» un unico sintagma, ben spiegato ad es. dalle
Chiose ambrosiane: «Femina sola: non habens emulatorem vel inductorem per exemplum». Per quanto la prima interpretazione abbia goduto e goda di maggior credito, anche per il rilancio fattone da Bosco 1964, essa non pare, su base comparativa semantica, da preferire.