Vocabolario Dantesco
urlare v.
Commedia 2 (1 Inf., 1 Purg.).
Commedia Urlar Inf. 6.19; urlare Purg. 23.108.
Dal lat. volg. *urulare, var. dissimilata di ululare (DELI 2 s.v. urlare). Il verbo in it. antico è semanticamente sovrapponibile a ululare, che si riferisce al verso del lupo o al latrato del cane; si veda, per es., il commento di Boccaccio a Inf. 6.19: «Urlar... è propio de' lupi, come che e' cani ancora urlino spesso». Attribuito ai dannati di Inf. 6.19, e alle «svergognate» donne fiorentine di Purg. 23.108, l'uso del verbo animalesco risulta efficace a indicare la bestialità a cui conducono il peccato e la pena. Invece gridare (vd.) risulta privo di questa nota di disumanità.
Autore: Veronica Ricotta.
Data redazione: 01.02.2019.
Data ultima revisione: 02.03.2020.
1 Produrre vocalmente un suono straziante e prolungato, assimilabile a un verso animale.
[1] Inf. 6.19: Urlar li fa la pioggia come cani; / de l'un de' lati fanno a l'altro schermo; / volgonsi spesso i miseri profani.
[2] Purg. 23.108: Ma se le svergognate fosser certe / di quel che 'l ciel veloce loro ammanna, / già per urlare avrian le bocche aperte...