Prima att. Deriva da
aggiornare e, oltre che in Dante, è att. nel Trecento solo in
A. Pucci, Apollonio, a. 1388, 4, ott. 8.4, p. 43 «A ragionar di lei ciascun ragiorna». Qui
ragiorna è una «probabile riminescenza dantesca» (Viel,
«Quella materia ond'io son fatto scriba», p. 330): tuttavia, in Dante il verbo ha per sogg.
questo dì (con rif. al risorgere di un nuovo giorno), mentre in Pucci il signif. di
ragiorna, con sogg.
ciascun, è quello durativo di ‘trascorrere la notte finché non sorge il giorno’. Quest'ultima accezione si riscontra peraltro nel corradicale
aggiornare, att. per la prima volta nel
Detto, 228 «E sempre a llei ag[g]iorno» ‘faccio venir giorno, pensando a lei’ (Formisano
ad l.): cfr. TLIO s.v.
aggiornare. In
Purg. 12.84, Perugi,
Arnaut, p. 85, individua una ripresa da Arnaut Daniel «jusqu’al ser ques ajorna» (V.21);
ajorna ritorna in Arnaut anche in «Can sols clau ni s’ajorna» (VII.26), ed è un
hapax (corrispondente al fr. ant.
ajorner) che per Perugi si spiega (in base alla glossa «diem assignare» del Donato provenzale) come «rara metafora desunta dalla terminologia giuridica: il sole, all’atto del tramonto, procrastina, differisce, insomma “aggiorna” la propria luce al giorno successivo» (Perugi,
Le canzoni di Arnaut, II, p. 174). Tra i commentatori a
Purg. 12.84 prevale un’interpretazione metaf. del
dì che non raggiorna: cfr. per es. l'
Ottimo «il pugne, co[sì] dicendo: il tempo se ne va, che non torna mai»;
Francesco da Buti «Virgilio fa sollicito Dante, rammentandoli che 'l tempo passato mai non ritorna».
Autore: Fiammetta Papi.
Data redazione: 05.09.2018.
Data ultima revisione: 28.02.2019.