Prima att. Parasintetico con pref.
in-, denominale da
palude, forse influenzato dal fr. antico
empalüer (cfr. DEI e Viel,
«Quella materia ond’io son fatto scriba», p. 90). Dante usa il verbo in senso trans. con rif. al corso del fiume Mincio, che presso Mantova si espande nella bassura (la
lama del v. 79, vd. TLIO s.v.
lama 2) trasformandola in un’area lacustre (gli odierni “laghi di Mantova”), la quale, nei suoi punti meno profondi, si fa paludosa, in partic. durante l’estate. Difficile accertare il pieno riconoscimento del vocabolo negli antichi comm., che il più delle volte parafrasano in termini assoluti (con formule come “il Mincio fa una palude, un lago, un pantano”: pratica per altro corrente anche tra i moderni) la peculiare costr. trans., con
lama compl. ogg., riproposta da una minoranza (Pietro Alighieri,
ad l.;
Francesco da Buti,
ad l.; Giovanni da Serravalle,
ad l.; e con partic. consapevolezza da Benvenuto da Imola,
ad l.:
«e la impaluda, id est facit ipsam paludem, ita quod
impaluda est hic verbum, non nomen»). Ciò andrà verosimilmente collegato alla forte incidenza di lezioni
faciliores entro la trad. (
alla palude Eg,
a la paluda Laur,
alla paluda Parm,
in la paluda Ham,
en la paluda Rb) e alla possibilità di una lettura banalizzante
e là impaluda, att. nella trad. a stampa. Il verbo riappare nella trad. lett. solo a partire da Torquato Tasso, ma mai in senso trans.
Autore: Paolo Rondinelli.
Data redazione: 04.02.2021.
Data ultima revisione: 11.06.2021.