Vocabolario Dantesco
dolcezza s.f.
Commedia 6 (1 Inf., 1 Purg., 4 Par.).
Altre opere30 (9 Vn., 16 Conv., 5 Rime).
Commedia dolcezza Inf. 26.94, Purg. 2.114, Par. 3.38, 10.147, 20.75, 29.140 (:).
Altre opere dolcezza Vn 3.2, 11.3, 21.2-4.9, 21.6, 21.8, 26.3, 26.5-7.10, 26.10-13.14, 27.3-5.8, Conv. 1.1.10, 1.7.14, 1.7.15 (2), 2.7.7, 2.12.7, 2.15.1, 2.15.3, 3.3.15, 3.7.12, 4.20.9, 4.21.14, 4.22.2, 4.22.11, 4.22.17, 4.27.3, Rime 5.54 (:), 6.77 (:), 62.14, 63.9, 64.10.
Il vocabolo dolcezza, in Dante, oltre a indicare la qualità di ciò che soave e procura diletto (1; cfr. anche Conv. 2.12.7, 2.15.1, 2.15.3, 3.3.15, 3.7.12, 1.7.14, 1.7.15 [2], 4.21.14, 4.22.11, 4.22.17, 4.27.3, 2.7.7; Rime 5.54), può denotare una delicata sensazione di gradevolezza che si imprime attraverso i sensi e si diffonde nel corpo e nello spirito (1.1; cfr. anche Vn 11.3, 3.2, 21.2-4.9, 26.3, 26.5-7.10, 26.10-13.14, 27.3-5.8; Conv. 1.1.10, 4.20.9; Rime 6.77) e, estensivamente, la piena letizia della vita eterna (1.2; cfr. anche Conv. 4.22.2). Può indicare anche un sentimento endogeno, rivolto all’elemento esterno che lo ispira (2). Propr. legato alla sfera sensoriale del gusto, il lessema è spesso rif. alla vista e in partic. all’udito (vd. dolce e dolcemente). In tutta l’opera dantesca, in linea con la rappresentazione che l’autore dà della propria evoluzione speculativa è possibile individuare una progressiva estensione semantica per tutta la famiglia lessicale: la dolcezza, prima rif. all’amore per Beatrice che provoca «intollerabile beatitudine» (Vn 11.3; e cfr. De Robertis, Rime, p. 381), poi al «secondo amore» (Conv. 3.1.1) di Dante, quello per la filosofia, che, nobilitando, porta alla «umana felicitade» (Conv. 4.21.14) identificata con la dolcezza terrena (Conv. 4.20.9), e infine nel Paradiso rif. all’«amore di vero ben» (Par. 30.42) cui si deve la letizia della condizione beata (cfr. Chiavacci, Dolcezza, p. 191), la cui somma dolcezza «trapassa» (Par. 30.42) anche le gioie più alte della vita umana (per indicare queste ultime Dante, al trentesimo di Par., sceglie il provenzalismo concorrente dolzore [vd.]). Per l’estensione, così individuata, dal campo semantico del ‘piacere’ verso quello della ‘letizia’ vd. dolce. Si registrano cinque att. di dulcedo nelle opere lat. dantesche (Mon. 1.16.4, Dve 1.17.6 e 2.13.4, Ep. 5.13 e 7.2), solo in un caso (Ep. 5.13) con connotazione neg., in relazione con il verbo seducere e rif. alla mollezza prodotta dalla cupidigia.
Autore: Francesca De Blasi.
Data redazione: 02.07.2018.
Data ultima revisione: 02.07.2018.
1 [In sinestesia, con rif. alla sfera sensoriale dell'udito:] qualità di ciò che è soave e dilettevole.
[1] Par. 10.147: così vid' ïo la gloriosa rota / muoversi e render voce a voce in tempra / e in dolcezza ch'esser non pò nota / se non colà dove gioir s'insempra.
[Detto di un suono o di una melodia:] ciò che è soave e dilettevole.
[2] Par. 20.75: Quale allodetta che 'n aere si spazia / prima cantando, e poi tace contenta / de l'ultima dolcezza che la sazia...
1.1 Sensazione di profondo diletto (del corpo e dello spirito), provocata da un'impressione sensoriale (in partic. uditiva) delicata e piacevole.
[1] Purg. 2.114: 'Amor che ne la mente mi ragiona' / cominciò elli allor sì dolcemente, / che la dolcezza ancor dentro mi suona.
1.2 [Con rif. alla vita eterna:] condizione di piena e compiuta letizia.
[1] Par. 3.38: "O ben creato spirito, che a' rai / di vita etterna la dolcezza senti / che, non gustata, non s'intende mai, / grazïoso mi fia se mi contenti / del nome tuo e de la vostra sorte".
[2] Par. 29.140: Onde, però che a l'atto che concepe / segue l'affetto, d'amar la dolcezza / diversamente in essa ferve e tepe.
2 [Con rif. al rapporto fra padre e figlio:] sentimento di amore tenero e di profondo affetto.
[1] Inf. 26.94: né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, né 'l debito amore / lo qual dovea Penelopè far lieta, / vincer potero dentro a me l'ardore / ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore...