Vocabolario Dantesco
denaro s.m.
Commedia 2 (2 Inf.).
Altre opere2 (2 Conv.).
9 (9 Fiore).
Commedia Danar Inf. 22.85; denar Inf. 21.42.
Altre opere denari Conv. 1.9.3, 4.27.13.
danaio Fiore 108.5 (:), 192.3; danar Fiore 160.3, 195.7; danari Fiore 108.3, 118.1, 159.1 (:), 177.13, 178.7.
Dal lat. denarius (Nocentini s.v. denaro), moneta dell’antica Roma, poi scomparsa, e unica moneta circolante durante i regni carolingi (denier). Il denaro fu l’unità minima del sistema monetario di conto che si diffuse progressivamente in buona parte d’Europa, Toscana compresa. Esso costituì dunque «la principale moneta in Toscana dall’epoca carolingia in poi», ma «Firenze non coniò il proprio denaro [o denaro picc(i)olo o fiorino picc(i)olo] prima degli anni ‘50 del Duecento» (Goldthwaite-Mandich, Studi, p. 13; per altra bibliografia vd. fiorino, Nota e monetaNota). Nella Firenze dei secc. XIII-XIV, la semantica di denaro oscilla quindi tra il signif. economico e numismatico appena descritto e il signif. più generico (proprio già del lat. classico denarius) di ‘moneta contante di qualsiasi taglio’. Nella Commedia il lemma denaro è presente nei canti dei barattieri, dove, a partire proprio dal signif. più generico (att. anche nel Fiore), indica il mezzo con cui tali peccatori venivano pagati, arricchendosi illecitamente. Dunque, come già in altri testi di natura non pratica, denaro si connette a un vero e proprio atto illecito o, come accade anche nel Conv., generic. all'aspetto morale legato alla moneta e/o allo sviluppo della classe mercantile (cfr. Berisso, «Secondo il corso del mondo mess'ò 'n rima»; Canettieri, Il Fiore e il fiorino; Montefusco, Banca e poesia e Id., La linea Guittone-Monte, in partic. pp. 19-26). Il consonantismo della sillaba finale delle forme di denaro att. nelle opere dantesche è in linea con ciò che afferma Rohlfs (§ 284) per l'evoluzione dei sost. lat. in -arium in fior., e il loro vocalismo presenta un'oscillazione tra -en--an- in protonia. A tal proposito si veda Castellani, Nuovi testi, pp. 53-57, che annovera il passaggio da denaridanari tra i «fatti» e le «tendenze» del fior. del sec. XIII «che la lingua letteraria non conserva, o conserva solo in parte ed incertamente». Per quanto riguarda le forme di denaro della Commedia, il testo Petrocchi riflette la varianza di Triv. Alcuni editori, dopo Petrocchi, pubblicano entrambe le forme o solo quella di Inf. 22.85 con l'apostrofo finale (quindi: denar' e danar'), interpretando quest'ultima come plur. (Inglese afferma: «plurale, come suggerisce Eg»). Nella definizione qui proposta, si segue tale interpretazione; nel caso, tuttavia, si intenda come sing., si dovrà ammetterne il valore collettivo, normale già nell'it. antico.
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 22.07.2019.
Data ultima revisione: 04.11.2019.
1 Moneta contante di qualsiasi taglio, utilizzata come mezzo di pagamento o di accumulo della ricchezza, soldi.
[1] Inf. 21.42: Mettetel sotto, ch'io torno per anche / a quella terra [[scil. Lucca]], che n'è ben fornita: / ogn' uom v'è barattier, fuor che Bonturo; / del no, per li denar, vi si fa ita.
[2] Inf. 22.85: Danar si tolse e lasciolli di piano, / sì com' e' dice; e ne li altri offici anche / barattier fu non piccol, ma sovrano.