arnia s.f.
Nota:Di etimo incerto, prob. da ricondurre a un sostrato preromano (LEI s.v.
arna, 3.1, 1337.33; Nocentini s.v.
arnia). La voce è att. a partire dalle
Rime e dalle
Lettere in prosa di Guittone d'Arezzo e ricorre in vari testi tosc. del sec. XIV tra cui
Palladio volg. e
Piero de' Crescenzi volg., dove la parola indica perlopiù il ricettacolo artificiale in cui si allevano le api (cfr. TLIO s.v.
arnia;
Corpus OVI). A
Inf. 16.3 la voce
arnia conferisce realismo alla similitudine dantesca, la quale paragona il fragore della cascata d'acqua (che cade nel cerchio più in basso rispetto a quello in cui si trovano Dante e Virgilio) al brusìo che s'irradia da un alveare pieno di api. Come osserva Pasquini (in ED s.v.
arnia), «la resa letterale, "alveari", sconfina per spontanea sineddoche nel valore di "api dentro gli alveari", a denotare l'abitazione delle api quasi soltanto come cassa di risonanza del loro ronzio». La reazione del secolare commento alla terzina dantesca, in accordo con le più antiche att. del lemma, conferma la toscanità della voce. Pietro Alighieri (red. III) e Guido da Pisa (per cui cfr. anche Franceschini,
I volgari, pp. 605-608)
ad l. riconducono
arnia all’area rispettivamente tosc. («dicuntur enim 'arne' in Tuscia alvearia vasa in quibus apes mellificant») e fior. («alvearia a Florentinis 'arnie' appellantur»). In altri casi, la glossa è l'occasione per introdurre dei geosinonimi:
Francesco da Buti ad l. («
l'arnie; cioè li bugni delle api») documenta il tipo lessicale
bugno, presente quasi esclusivamente in area pis. (cfr. TLIO s.v.
bugno); le
Chiose Selmiane ad l., di area sen., parlano invece di «chupilo», att. anche in tre volg. fior. trecenteschi (cfr. TLIO s.v.
copiglio).
Guglielmo Maramauro ad l. legge
Nargni (lez. estranea all'
antica vulgata) e si cimenta in una similitudine tra la cascata infernale e quella che scorre in prossimità di Narni (cioè la cascata delle Marmore), salvo poi ritenere più prob. la lez.
arnie («inarnie»); cfr. Maramauro,
Exp.
Inf., p. 279. Fra le var. assume partic. rilievo la lez.
arme, frequente nella trad. postboccacciana ma avallata anche dal ramo
α dell'
Ottimo, che ricollega il rombo della cascata al fragore delle armi che si scontrano in battaglia (cfr.
Ottimo,
Inf., pp. 371-372, in apparato), generando un'interpretazione parallela del passo che avrà una certa fortuna (cfr. Petrocchi
ad l.).
Autore: Francesca Spinelli 01.12.2021 (ultima revisione: 25.03.2024).