Prima att. Deriva dal lat.
calla, variante di
callis (cfr. LEI s.v.
callis, 9, 1440.20 e in partic. 1459.25-35), e sembra differenziarsi da
calle (vd.) anche dal punto di vista dell’uso, come pure osservò il Borghini (
Scritti, pp. 190-192), che così precisa il signif. di
calla e
callaia (vd.): «usate da’ nostri antichi, et da noi [...], sono quasimente il medesimo [...]; uno che d’una via voglia entrare in un campo, vi fa la calla taglando la ripa, et quel transito si chiama
calla et
callaia; così per dare esito [...] all’acque in su le pescaie a’ mulini, si fanno questi valichi, che [...] si son chiamate le
calle et la
calla» (cfr. anche ivi, pp. 335-336). Il signif. di ‘stretto varco d’accesso’, assai pertinente per l’occorrenza di
Purg. 4.22 (grazie alla diretta comparazione con la già angusta «maggior aperta» [vd.
aperta] del v. 19), genera qualche dubbio nel caso di
Purg. 9.123, dove il termine peraltro è necessitato dalla rima. Qui, da un lato, il contesto sembra indicare che il referente di
calla sia concretamente la
porta di
Purg. 9.120, della quale l’angelo tiene le chiavi, dall’altro, lo schiudersi della porta permette anche il passaggio allo stretto sentiero attraverso cui i pellegrini proseguono il loro cammino (cfr.
Purg. 7.10-16). A
Purg. 4.22, l'apparato Petrocchi registra la sostituzione di
la calla con
la calle (Ash Eg La Parm Pr); si osservi che in Dante
calle è att. solo al maschile (vd.
calle) e ricorre nello stesso luogo come var. di Mad (cfr. anche Blanc,
Versuch, II, pp. 10-11 e Moore,
Contributions, pp. 375-376). Dal Moore si evince che in almeno due codd. (non appartenenti all’antica vulgata)
callaia (vd.) sostituisce
calla, forse proprio in virtù della loro sinonimia. In Laur l’erroneo
calcaia sembrerebbe derivare proprio da
callaia (cfr. ancora Petrocchi
ad l.).
Autore: Cristiano Lorenzi Biondi.
Data redazione: 10.07.2017.
Data ultima revisione: 06.12.2018.