Commedia |
turge Par. 10.144 (:), 30.72 (:). |
Prima att.
Latinismo da
turgere (DELI 2 s.v.
turgido), propr. 'essere o diventare gonfio (spec. di liquidi)' (cfr. Cecchini,
Uguccione, T 150, 1: «inflari, tumere»). Il verbo è impiegato da Dante in senso fig., sempre in serie rimiche rare e dense di cultismi (ess.
surge,
gurge), con rif. alla pienezza dell’amore divino (
Par. 10.144) e al crescente e incontenibile desiderio di conoscenza (
Par. 30.72). Fuori del circuito dell'esegesi dantesca,
turgere ha un’unica att. sicura in
Neri Pagliaresi (cfr. TLIO s.v.
turgere): qui il verbo, ancora dotato di senso fig., si colloca in una sequenza
surga :
turga :
urga quasi identica a quella di
Par. 10.140-144. Anche l’atteggiamento dei volgarizzatori trecenteschi conferma la scarsa disponibilità del cultismo nell’uso del tempo (cfr.
Corpus CLaVo):
ingrossare,
enfiare,
gonfiare risultano di fatto i traducenti privilegiati per rendere il verbo lat.
turgere o l’incoativo
turgescere. Proprio a quest’ultimo, e non al verbo semplice, Dante ricorre due volte nella prosa lat. (sempre con valore fig.): cfr.
Mon. 1.1.3: «ne de infossi talenti culpa quandoque redarguar, publice utilitati non modo turgescere [[...]] desidero...»;
Ep. 7.22: «nonne tunc vel Brixie vel Papie rabies inopina turgescet?»).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 14.11.2017.
Data ultima revisione: 29.05.2018.