Formazione parasintetica su
pelo (vd.) con pref.
tra-, che vale propr. 'passare attraverso un'incrinatura' (DELI 2 s.v.). Il verbo è att. in it. antico a partire dalla seconda metà del sec. XIII, anche con valore fig. (es. «Ma volglio certo dir che non trapelo...» Monte Andrea,
Rime, son. 14.14, p. 135; «sì che l'aqua non trapeli ne le vie...»
Stat. sen., 1309-1310, dist. 1, cap. 171, vol. 1, p. 156; cfr.
Corpus OVI). Nel poema
trapelare occorre un'unica volta, in rima con
congela (v. 86) e
candela (v. 90), nella lunga similitudine che rappresenta i diversi passaggi emotivi e le reazioni del pellegrino dopo il rimprovero di Beatrice (per la derivazione scritturale dell'immagine dantesca, cfr. quanto detto s.v.
liquefare). I commentatori chiosano il verbo ricorrendo per lo più a
distillare («
trapela, idest, distillat» Benvenuto da Imola,
ad l.) o
trapassare «dentro da sé» («
trapela; cioè trapassa dentro da sè, et isdura quella che è indurata dentro e falla risolvere»
Francesco da Buti,
ad l.). Così il Landino: «si distilla; trapelare è quando di chosa non bene stuccata el licore che v'è dentro gocciola» (
ad l.).