Vocabolario Dantesco
accento s.m.
Commedia 1 (1 Inf.).
Commedia accenti Inf. 3.26.
Latinismo da accentus (LEI s.v., 1, 262.48). La prima att. è nei Trattati di Albertano, volg., a. 1287-88 (pis.), con il signif. di 'tono della voce' (cfr. Corpus OVI). I commenti antichi legano già il signif. all'andamento della voce. Per esempio si veda la glossa di Boccaccio (interessante anche dal punto di vista del senso grammaticale del vocabolo): «“Accento” è il proferere, il quale facciamo alto o piano, acuto o grave o circunflesso; ma qui dice che erano d'ira, per la quale si sogliono molto più impetuosi fare che, senza ira parlando, non si farieno». Con rif. al volume della voce la glossa di Iacomo della Lana, che per spiegare accento ricorre a muggito 'suono fragoroso e prolungato' («acento si è a dire qui muzito», cfr. TLIO s.v. muggito). Dante usa accentus anche nel De Vulg. 1.11.6, con rif. alla cadenza nelle parlate montanare e rustiche (e in rif. alle parlate bresciane, veronesi e vicentine, in De Vulg. 1.14.4 e 1.17.3). Ancora un’altra occ. in De Vulg. 2.5.4, con rif. al computo sillabico in un endecasillabo dove la finale consonantica di una parola costituisce una sillaba con la vocale iniziale della parola successiva; con il signif. rif. al segno grafico, a proposito dei vocabula pexa, in De Vulg. 7.5.6.
Autore: Veronica Ricotta.
Data redazione: 27.06.2017.
Data ultima revisione: 22.05.2018.
1 Suono articolato con intensità.
[1] Inf. 3.26: Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d'ira, / voci alte e fioche, e suon di man con elle / facevano un tumulto, il qual s'aggira / sempre in quell'aura sanza tempo tinta, / come la rena quando turbo spira.