Formazione parasintetica su
rado (vd.), con pref.
di- intensivo (DELI 2 s.v.
diradare), corrispondente al lat.
disrarare (TLL s.v., 5.1, 1451.9). Rispetto alle alternative colte
rarefare e
rarificare, destinate ad affermarsi più tardi (cfr.
Corpus OVI; Fanini,
Il lessico della fisica, pp. 19-25),
diradare risulta att. in volg. già dalla fine del sec. XIII in testi d'ambito scient. (nella
Composizione del mondo di Restoro d'Arezzo del 1282, per es., o nelle anonime
Questioni filosofiche, posteriori al 1298; vd. TLIO s.v.
diradare). Dopo Dante, il verbo conta diverse occ. soprattutto fra i commentatori del poema, i quali vi ricorrono anche in contesti extra-esegetici (cfr.
Corpus OVI). Nella
Commedia,
diradare è impiegato soltanto due volte, sempre nel
Purg.: in un caso (§
1) esso è rif. ai vapori della nebbia e ha dunque il valore propr. di 'farsi raro'; nell'altro (§
1.1), invece, il verbo precisa i possibili effetti del sole sulla rugiada, ed è stato per lo più reso dai commentatori con 'risolversi, dissolversi' (
Iacomo della Lana,
Ottimo ecc.) o, fra i moderni, con 'evaporare' (Chiavacci Leonardi, Inglese ecc.; ma cfr. ED s.v.
diradarsi). Così glossa il passo, per esempio,
Francesco da Buti: «
poco si dirada; ecco in che modo si disfà la rugiada; cioè che si dirada come l'umore tirato insù dal sole: per lo freddo della luna si spissa e congrega insieme; così poi per lo caldo del sole si dirada e risolvesi» (
ad l.).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 23.02.2021.
Data ultima revisione: 19.03.2021.