Vocabolario Dantesco

Accademia della Crusca - CNR Opera del Vocabolario Italiano

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letargo s.m.
Frequenza:
Commedia 1 (1 Par.).
Lista forme e index locorum:
Commedia letargo Par. 33.94 (:).
Corrispondenze: Testi italiani antichi:
Corpus OVI,
DiVo,
LirIO,
Prosa fior. sec. XIII,
Petrarca e Boccaccio.
Vocabolari: TLIO, Crusca in rete, ED.
Nota:Prima att. Latinismo da lethargum (DELI 2 s.v. letargo), a sua volta dal gr. lēthē (oblio) e argós (inerte), quindi 'inerte per oblio'. Il termine appartiene al linguaggio medico, in cui denota 'uno stato patologico di sonnolenza e amnesia', come già glossato nei principali lessici mediev. (Cecchini, Uguccione, L 49, 7: «Et hic lethargus -gi, idest morbus oblivionem afferens et somnum» e, a proposito di lethargia, Isidoro, Etimol., IV.6.5; vd. anche Giola, La lessicografia mediolatina, p. 206). Oltre che in mediolatino, «la voce è presente anche nel dominio galloromanzo» (Viel, «Quella materia ond'io son fatto scriba», p. 285): il medio francese létharge (1549) è secondario, da una base lethargia ‘schlafsucht’ (sonnolenza morbosa, letargia), da cui primariamente il fr. antico litargie (sec. XIII), letargie (sec. XIII) ‘état morbide caractérisé per un sommeil qui présente l’image de la mort’ (FEW s.v. lethargia, 5, 261b). In Par. 33.94 il tecnicismo medico, «impiegato metaforicamente per 'dimenticanza, oblio'» (Manni, Dante, p. 118), esprime, all'interno di un suggestivo parallelismo, la totale incapacità di Dante di ricordare la visione beatifica di Dio. In un solo istante scompare il ricordo di quanto appena visto, mentre l'impresa degli Argonauti è ricordata ancora a distanza di venticinque secoli (cfr. Inglese, ad l., con spiegazione del calcolo temporale fatto da Dante, il quale «leggeva in Orosio che Troia cadde 414 anni prima della fondazione di Roma, ossia nel 1160 a.C.»). Nell'unico volg. del Corpus CLaVo, il passo di Boezio, De cons. Philos., I.2.5, relativo al morbo da cui l'autore lat. è afflitto: «lethargum patitur, communem illusarum mentium morbum» è reso da Alberto della Piagentina (1322/32) «di dimenticanza è passionato: comune infermità delle menti schernite». Il ricorso metaf. al cultismo scientifico, che Dante prob. ricava dalle principali fonti di medicina del tempo (cfr. Avicenna, Liber Canonis, III.I.III: «quoniam interpretatio lethargie est oblivio»; Galeno, Definitiones medicae, CCXXXV: «Lethargus est delatio in somnum inexpugnabilis»), assume un preciso intento stilistico, con cui si intende «significare che quell'oblio non è un fatto naturale: letargo (considerato una malattia – «morbus» – e quindi un'alterazione delle naturali condizioni psichiche) indica qualcosa di diverso e di più, lo smemoramento dovuto allo stato estatico» (Chiavacci Leonardi, ad l.). Sulla scia dei lessicografi mediolatini, i commenti antichi si richiamano al valore tecnico del termine medico: Pietro Alighieri («oppressio cerebri cum oblivione in somnio»), in parte Iacomo della Lana (Sí se expone in dui modi: 'Letargus', idest 'copiosus in letitia'; e 'letargus' est 'morbus oblivionis'), Ottimo («infermità che induce difetto alla memoria»). Da qui il signif. ampiamente prevalente di 'dimenticanza'. Non condivisibile l'interpretazione di una parte minoritaria dell'esegesi moderna che intende invece 'ammirazione' (Scartazzini, Poletto, Mestica) o 'stupore' (Provenzal) (e vd. ED s.v.). Dopo Dante, il sost., a parte i commentatori trecenteschi, è ripreso in senso propr. come 'stato di torpore e apatia' in Petrarca, Trionfi in rima con spargo e largo (cfr. TLIO s.v.).
1 [Med.] Perdita totale del ricordo (di un fatto), oblio (metaf.).
[1] Par. 33.94: Un punto solo m'è maggior letargo / che venticinque secoli a la 'mpresa / che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. 


Autore: Francesca De Cianni 01.02.2019 (ultima revisione: 28.02.2022).