Vocabolario Dantesco
cicogna s.f.
Commedia 2 (1 Inf., 1 Par.).
Commedia cicogna Inf. 32.36 (:), Par. 19.92.
Lo zoonimo (dal lat. ciconia, vd. LEI s.v., 14, 149.24) è att. in volg. già dalla metà del sec. XIII (vd. TLIO s.v. cicogna 1). Nel poema cicogna occorre due volte, sempre in paragoni. In partic., a Inf. 32.36, il richiamo all'animale è funzionale a rendere il suono prodotto dai dannati immersi nella ghiaccia (vd.), i cui denti battono rumorosamente e incessantemente per il freddo. Per questo "tratto sonoro" della cicogna, cfr. per es. Tesoro volg. (fine sec. XIII): «Cicognia è uno grande uccello, e sono senza lingua, e per ciò fanno gran romore col becco, battendolo molto insieme», ivi, L. 5, cap. 23, p. 115; cfr. Corpus OVI). L'immagine del nido e dell'amorevole cura della madre verso i propri piccoli (e viceversa) di Par. 19.92 evoca un altro carattere della cicogna ben noto ai bestiari medievali (cfr. per es. «Cicogna si è uno ucello grande e à in sé cutale natura che, quanto tempo la loro madre dura fatica i· notricarli, tanto tenpo metteno eili i· notricare la loro madre quando ella è vecchia», Libro della natura degli animali (A), fine sec. XIII, cap. 32, p. 271; cfr. Corpus OVI). Vd. anche cicognino.
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 22.10.2020.
Data ultima revisione: 02.11.2020.
1 [Zool.] Grosso uccello della famiglia dei ciconiformi, caratterizzato da un becco molto lungo.
[1] Par. 19.92: Quale sovresso il nido si rigira / poi c'ha pasciuti la cicogna i figli, / e come quel ch'è pasto la rimira...
[Con rif. al suono emesso dal battere del becco].
[2] Inf. 32.36: E come a gracidar si sta la rana / col muso fuor de l'acqua, quando sogna / di spigolar sovente la villana, / livide, insin là dove appar vergogna / eran l'ombre dolenti ne la ghiaccia, / mettendo i denti in nota di cicogna.