Dal
lat. abbattere (LEI s.v.
abbattere, 1, 62.30). In
Inf. 9.70 il sign. è quello proprio di 'far cadere a terra, buttare giù' (v. anche TLIO s.v.
abbàttere); la scelta lessicale che coinvolge l’uso del verbo avviene in questo caso in emulazione del passo di
Georg., II, 440-441: «Silvae / quas animosi Euri adsidue franguntque feruntque». In
Par. 6.106 invece l'utilizzo in contesto fig. porta con sé sfumature semantiche differenti: l'oggetto di
abbattere è il segno imperiale, il segno dell'aquila (come evidente anche ai vv. 107-108 «ma tema de li artigli ch'a più alto leon trasser lo vello»); il verbo è dunque usato col sign. proprio di 'abbassare' («Lo abbassi, per sostituirvi una diversa insegna; di una bandiera diremmo: 'la ammaini'», Inglese
ad l.) ma nel contesto fig. vale anche 'far cadere', 'uccidere' l'aquila e 'sconfiggere' l'Impero. Tra le numerose occ. nel
Fiore si ritrova il sign. di 'far cadere, buttare giù' (
Fiore 21.11, 70.11, 71.10, 76.10, 76.14, 78.7, 82.3) e quello di 'vincere qno in combattimento' (
Fiore, 214.3). Per l'occ. di D
etto 85, invece, cfr. ED s.v.
abbattere: «Figurato, col valore di 'andare in rovina' [...] (per il Parodi anche 'perdersi d'animo')». Complessivamente l’uso dantesco del verbo appare
grosso modo corrispondente alle accezioni in uso a fine Duecento (cfr. TLIO s.v.
abbàttere).
Autore: Chiara Murru.
Data redazione: 17.06.2019.
Data ultima revisione: 04.11.2019.