Bulla è att. in lat. col signif. di 'sferetta gassosa, bolla di vapore acqueo' (TLL s.v.
bulla, 2, 2241; LEI s.v., 7, 1583.33) ma sviluppa, già nell'età classica o in quella argentea, diverse accezioni secondarie (come 'sigillo', 'ornamento' ecc.); quest'ultime finiscono col diventare, nell'it. antico, nettamente predominanti (cfr. TLIO s.v.
bolla 2). L'originario valore di 'sferetta gassosa' conta invece, dopo Dante (e fuori del circuito esegetico del poema), att. rarissime che si limitano all'area tosc. (cfr. TLIO s.v.
bolla 1). Altrettanto isolate e circoscritte geograficamente (alla sola area fior.) risultano pure le occ. di
bolla che documentano l'accezione di 'vescica cutanea' (cfr. ancora TLIO,
ibid.), oggi molto comune. Nel poema il termine è impiegato due volte; a
Inf. 21.20, le
bolle affiorano faticosamente in superficie dalla densissima
pegola (v. 17) in cui sono immersi i barattieri. A
Purg. 17.32, invece, il termine occorre in una similitudine tesa a raffigurare, «con suprema leggerezza e precisione, lo svanire istantaneo [...] della immateriale visione» degli iracondi puniti (Chiavacci Leonardi,
ad l.). In questo secondo passo, esigenze di rima impongono il ricorso alla forma etimologica
bulla (:
fanciulla,
nulla). La circoscrizione delle att. del termine all'area tosc. sembra confermata dai commentatori d'altra provenienza, come il Maramauro, che a
Inf. 21.20 accosta a
bolla l'equivalente nap.
ampolla («ma non vedea in essa [[
scil. pegolla]] si non le scance del bolor, le quale chiama
bolle – noi Napollitani dicemo 'ampolle' – che levava il bollore»).
Autore: Barbara Fanini.
Data redazione: 12.03.2019.
Data ultima revisione: 30.04.2019.